Oggi ha 78 anni e vive a Milano, in una casetta linda circondata da molti nani da giardino e molti fiori, in un campo autorizzato del Comune vicino alla stazione di Rogoredo.
Lei era molto piccolo, nel 1943.Cosa ricorda?
«Ricordo molto bene mia mamma, che si chiamava Ida ed era una donna alta, con i capelli lunghissimi e neri, che portava raccolti in due trecce. Portava i vestiti lunghi, colorati. Ma ricordo anche le urla sue e delle altre donne, quando ci hanno portato via. Vivevamo a Postumia, tra Lubiana e Trieste, mio padre era italiano, ed era nell’esercito».
Chi vi ha portato via?
«Gli italiani. Ci hanno messo sui carri e portati nel sud Italia, forse per salvarci, forse. A nordest c’erano gli ustascia, i fascisti di Ante Pavelic, che hanno fatto dei massacri. Uccidevano la gente ebrea, i serbi, e noi rom, lì sul posto, se ci trovavano».
Allora, in viaggio verso il sud…
«… Poi siamo arrivati in un campo in un paese che si chiamava Tossicia, vicino a Teramo. Erano dei casoni, sorvegliati dai carabinieri. Li chiamavano i campi del duce… Purtroppo abbiamo fatto molta fame, e avevamo sempre freddo perché non ci si poteva scaldare, e non avevamo le coperte per tutti.
Ricordo che andavo in giro scalzo, e faceva freddo perché lì è montagna. Una fame della miseria, avevamo. Meno male che ogni tanto i contadini ci regalavano della polenta, o del latte. Gli facevamo pena. Ma non tutti i giorni ci davano qualcosa.
Piangevamo dalla fame».
Lei è stato schedato, da piccolo.
«Sì, nel 1941. Eravamo zingari, quindi pericolosi. Però ci hanno schedato anche nel 2008, con l’Emergenza rom, c’era Berlusconi, il ministro era Maroni… Una mattina sono venuti alle 5 e mezzo, polizia e carabinieri, hanno preso i nomi di tutti».
Lei ha paura, oggi?
«Sì, perché sono vecchio e ho solo questa casa qui. Se devo andarmene di nuovo, dove vado?
E spostare la casa costa un sacco di soldi che non ho. Ma poi, dove scappo?».
La senatrice Segre, deportata ad Auschwitz, ha detto che si opporrà con tutte le sue forze a leggi discriminatorie verso i rom.
«Lo so, l’ho vista in televisione. È brava, Liliana, mi piacerebbe conoscerla. Meno male che c’è una come lei, che io ringrazio.
Oggi tutti i campi rom d’Italia parlano di lei. Abbiamo paura, come ha avuto lei, e anche io. Non si possono deportare i bambini, non si può deportare nessuno. Io mi sono salvato grazie a santa Sara, la nostra patrona, io in casa tengo la sua statua, ma quella vera è in Camargue, a Saintes-Maries-de-la-Mer. Lei ci ha molto aiutato. Ma ad altri parenti non è andata così. Mia zia Wilma è finita a Birkenau, quando è tornata aveva sul braccio il numero tatuato. Stava nel Zigeunerlager B II E. Ha visto molte cose tremende, ma si è salvata. Un altro parente è scomparso in un campo in Germania, l’abbiamo aspettato fino agli anni Settanta, ma non è tornato, è passato dal camino.
Ogni famiglia ha avuto perdite».
Lei è stato fortunato, non è finito a nord ma a sud, e poi sono arrivati gli americani, giusto?
«Sì, ma noi siamo scappati prima che loro arrivassero. I carabinieri ci hanno lasciati scappare perché stavano per arrivare i tedeschi per portarci nei campi di sterminio».
Sa cosa ha detto Salvini a proposito dei rom, e dei campi da sgomberare?
«Sì che lo so. Vuole mandarci tutti via. A noi tocca sempre scappare.
Invece noi stiamo bene qui, siamo in quaranta, venti sono bambini e ragazzi. Io non voglio più scappare, mi è bastato allora».
Lo Stato italiano riconosce il suo status di ex deportato?
«Ho appena ricevuto da Luigi Manconi una targa del Senato .
Una targa d’argento... l’ha ritirata mio figlio Giorgio a Roma. E anni fa ho avuto un riconoscimento dall’Ucei, le comunità ebraiche.
Loro fanno le ricerche, hanno riconosciuto che sono stato vittima della persecuzione nazifascista, come loro».