Avvenire, 7 giugno 2018
La flat tax mai applicata negli Usa. La prova nei Paesi dell’Est
La flat tax, dicono molti testi di scienza delle Finanze, fu ideata da Milton Friedman in un saggio del 1956, ma in pratica viene da molti più lontano. In effetti, principalmente per semplificare l’esazione, la tassazione non progressiva basata su un’aliquota unica e che poteva essere pagata (e riscossa) anche in natura – si pensi alla ’decima’ di cui parla la Bibbia – era caratteristica dei sistemi tributari dell’antichità. Ancora oggi, della quarantina di Paesi che adottano una qualche variante di flat tax, circa i due terzi sono o in via di sviluppo o in transizione dall’ex-Unione Sovietica all’economia di mercato. In questi Paesi, il problema della progressività viene risolto con misure che ricordano quelle della Firenze dei Medici: forme di ’decima scalata’, ossia alta, sulle proprietà di maggior valore. Con aliquote, però, spesso del tutto arbitrarie. Nella Ue le Repubbliche Baltiche hanno adottato un sistema tributario ’flat’ (con aliquote pari al 24% del reddito familiare in Estonia, del 25% in Lituania e del 33% in Lettonia); in Slovacchia una flax tax del 19% è stata in vigore sulla maggior parte delle imposte dal 2004 al 2013, in Romania c’è dal 2005 una flat tax del 16% sui redditi familiari e sugli utili delle imprese.
Interessante il caso dell’Ungheria, dove la flat tax introdotta nel 2011 causò una forte perdita di gettito, ma non un aumento della crescita economica (come avvenuto nelle Repubbliche baltiche) e il governo fu costretto a introdurre una serie di nuove imposte principalmente sulle società transnazionali. Negli Stati Uniti, dove tra il 2005 e il 2010 sono state presentate varie proposte per riformare il sistema tributario, solo cinque sui cinquanta Stati dell’Unione (Illinois, Indiana, Massachusetts, Michigan e Pennsylvania) hanno adottato un’imposta statale sul reddito basata su un’aliquota unica (dal 3,07% in Pennsylvania al 5,3% nel Massachusetts). Tuttavia, uno studio di prossima pubblicazione documenta che già ora il 90% circa dei contribuenti americani pagano un’imposta federale sul reddito del 18% circa (quindi una ’quasi flat tax’) se si tiene conto però delle varie forme di agevolazioni; la recente riforma tributaria Usa (un provvedimento di oltre mille pagine) accentua l’andamento verso un’imposta federale ad aliquota sostanzialmente unica, finora mai realizzata. È in questo contesto che si situano le proposte in via di formulazione in Italia. Il contratto tra i due azionisti di maggioranza dell’esecutivo Conte propone una semi flat tax a due aliquote; Forza Italia una ad aliquota del 23%. Entrambe le proposte si applicherebbero ai redditi delle famiglie (con detrazioni o deduzioni per la famiglie con più di quattro componenti). Ciò tuttavia richiede un cambiamento di giurisprudenza da parte della Corte Costituzionale che nella seconda metà degli Anni Settanta si è opposta al ’cumulo dei redditi’ (nell’ambito di una famiglia) in quanto aggirerebbe il principio della progressività tributaria previsto dall’art. 53 della Costituzione. Per le imprese, in pratica la riforma dell’Irpeg in Ires del 2004 ha portato a una flat tax che, per aggiustamenti successivi, è giunta ad un aliquota del 24%. Torniamo alla flat tax sui redditi delle persone. Sono state effettuate alcune stime econometriche secondo le quali con la semi flat tax a due aliquote la perdita immediata di gettito sarebbe sui 40 miliardi, che si recupererebbero teoricamente in un paio di anni grazie alla maggiore crescita economica. Altre stime sono state pubblicate nella Rivista di Diritto Tributario dell’Università La Sapienza di Roma: Emanuele Calegrati e Kurt Leube (Università di Stanford) giungono a un’aliquota di equilibrio del 21,9%.