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 2018  giugno 07 Giovedì calendario

Dal calcio al tennis, così Marco Cecchinato ha trovato la terra promessa

PARIGI Ignazio Arcoleo, allenatore del Palermo a metà degli anni Novanta, lo voleva nei Pulcini. Marco Cecchinato era, all’epoca, un bambino serio con la propensione per il gol. «Lo sport era il suo pallino – ricorda papà Sergio, direttore amministrativo dell’Azienda sanitaria di Palermo —. Avrebbe passato tutta la giornata al campo: mia moglie andava a recuperarlo per farlo studiare». Dobbiamo il primo semifinalista italiano al Roland Garros dal 1978 (Barazzutti) all’intuizione di Gabriele Palpacelli, cognato di Sergio Cecchinato e presidente del comitato regionale della Federtennis in Sicilia: «Convinse Marco a scegliere la racchetta. Disciplina individuale, più difficile, legata a mille sacrifici. E oggi viviamo tutti come su una nuvola».
Un bisnonno veneto (Cecchinato origina a est), un nonno di Alassio, i genitori di Palermo. Figlio unico («Anche per questo noi parenti abbiamo sempre cercato di accontentarlo, sostenendolo quando da adolescente ha lasciato l’isola per Caldaro e coach Sartori: si è trasferito a Bolzano per alzare il livello dei suoi allenamenti e noi, dipendenti pubblici, non abbiamo potuto accompagnarlo»), il killer di Novak Djokovic il giorno dopo ha occhiaie profonde e lo sguardo che brilla. «Ho dormito pochissimo – racconta —, sono andato a letto con in testa il passante di rovescio sul quarto match-point, quella palla che non atterrava mai…». La sbornia mediatica, le interviste («Tutte cose nuove per me»), le tifose sotto l’albergo («Ma sono fidanzato con Gaia»), il telefonino che scoppia di messaggi («Con calma, alla fine del torneo, risponderò a tutti»). Il nuovo Ceck somiglia a quello vecchio: è l’ambiente che lo circonda a essere profondamente cambiato. Dalla sconfitta con Milojevic al challenger di Barletta (10 aprile) al successo sul Djoker che ha fatto il giro del mondo è stato come passare dal sole della Sicilia alla neve dell’Alto Adige: «Periodo duro. Ero minorenne, vivevo da solo. Io, ragazzo di mare, mi svegliavo al freddo guardando le montagne». Secondo Cecchinato senior, la svolta: «Marco ha sempre dimostrato più anni di quelli che ha, ma al nord è molto maturato». Altro passaggio chiave, secondo papà, la squalifica per 18 mesi (ridotti a 12 in appello e poi estinti al Collegio di garanzia del Coni, che ha accolto un vizio di procedura sollevato dai legali) per scommesse illecite nel 2016. «Non lo definirei un incidente di percorso – dice Sergio con onestà —, piuttosto una leggerezza di gioventù che l’ha costretto a lottare, l’ha fortificato e ha solo ritardato i risultati che era destino che arrivassero».
Ieri al circolo ha incontrato Marat Safin, numero 1 tra il 2000 e il 2001, due titoli Slam all’attivo, idolo d’infanzia insieme a Kakà. «Sentirlo dire che vedrà la mia semifinale contro Thiem mi ha emozionato. Il mio Roland Garros non è finito. Voglio crederci fino in fondo». «Perché smettere proprio ora? – si chiede coach Vagnozzi – Le statistiche del torneo dicono che Marco è il giocatore che fa camminare il dritto più veloce dopo Nadal. Ormai ha imparato come vincere le partite, una dote che non si insegna». Cosa hai messo in valigia a Parigi, fino a qui, Ceck? «Determinazione, consapevolezza, convinzione». Qualcosa in più, secondo Sergio, cuore di papà: «Assisterò al match con Thiem con serenità e piedi per terra. Mio figlio, in fondo, un po’ di storia l’ha già scritta».