Corriere della Sera, 7 giugno 2018
«Denaro sovrano». La Svizzera vota la sua rivoluzione
È sempre il caso di tenere un occhio sulla Svizzera: vi succedono spesso cose interessanti, e in anticipo sui tempi. A maggior ragione se la questione riguarda le banche. Attenzione, dunque, a domenica 10 giugno: se la riforma proposta nel referendum che si tiene nella Confederazione dovesse essere accettata, saremmo di fronte alla maggiore rivoluzione del sistema creditizio da parecchi decenni. Un cambiamento radicale nel modello bancario così com’è inteso oggi in quasi tutto il mondo. Il fatto che venga dal Paese delle banche potrebbe funzionare da esempio per altri.
La proposta va sotto il nome di «Vollgeld», Denaro Sovrano, ed è sostenuta da una serie di forze che vanno dalla destra libertaria alla sinistra anti-bancaria fino, soprattutto, a gruppi di cittadini che si sono molto spaventati della crisi finanziaria del 2008, sono certi che qualcosa del genere prima o poi succederà di nuovo e quindi vogliono mettere le finanze elvetiche in sicurezza. In sostanza, chiedono l’abolizione delle riserve frazionarie bancarie, cioè del meccanismo per il quale un istituto di credito accetta depositi dai risparmiatori e ne mette a riserva solo una frazione, il resto lo presta (a imprese o a famiglie). In questo modo, le banche creano effettivamente denaro: da un lato scrivono nei loro bilanci i depositi e da un altro scrivono i prestiti che fanno con la parte non a riserva di quegli stessi depositi. I sostenitori del referendum vogliono che invece le banche tengano il cento per cento dei depositi come riserva e che dunque cessino di creare denaro, compito quest’ultimo – dicono – esclusivo della Banca nazionale svizzera (Bns).
Il cambiamento sarebbe straordinario, minerebbe il modello stesso sul quale si basa l’attività bancaria tipica (da tre secoli) non solo nella Confederazione elvetica ma nel mondo. Sarebbe «un esperimento pericoloso», sostiene Thomas Jordan, il presidente della Bns. E Sergio Ermotti, ceo di Ubs, il maggior banchiere privato del Paese: «Non mi aspetto che i cittadini svizzeri siano dei suicidi e approvino il Vollgeld». In effetti, i sondaggi dicono che la proposta ha poche probabilità di passare: almeno il 60% dei votanti pare contrario. Come nota però la banca Ing, è «un evento ad alto impatto», in sostanza «un referendum di taglia Brexit nelle Alpi». Della riforma radicale si discute infatti da decenni, almeno sin dal Chicago Plan avanzato da Henry Simons e poi perfezionato dal grande economista Irving Fisher nel 1936; ma in Svizzera è ora uscito dal dibattito tra soli economisti, è diventato una possibilità concreta.
Anche chi è contrario all’esperimento elvetico vede i pregi della separazione tra il credito e la creazione di moneta. Riserve al cento per cento dei depositi avrebbero il vantaggio di annullare la corsa agli sportelli quando ci sono timori sulla salute di una banca, dal momento che l’istituto avrebbe in cassaforte i mezzi per soddisfare i risparmiatori: si eviterebbe il panico e la maggiore fonte di crisi finanziarie verrebbe meno. Impedire di fatto alle banche di creare denaro nei momenti di boom e di ridurlo nelle contrazioni limiterebbe enormemente le fluttuazioni del ciclo economico: la campagna a favore del Vollgeld sostiene che il 90% del denaro in circolazione in Svizzera è creato elettronicamente dalle banche commerciali, non dalla Bns. Nella riforma proposta, il denaro sarebbe invece creato solo dalla banca centrale: gli istituti commerciali dovrebbero chiederlo a essa prima di darlo a chi lo chiede (diventerebbero così davvero intermediari, cosa che oggi non sono anche se lo sembrano) e la Bns potrebbe anche assegnarlo direttamente al governo o ai cittadini a tasso zero. Con l’enorme beneficio di abbassare l’indebitamento generale del Paese.
I contrari ovviamente temono che questa sarebbe «un’avventura nell’ignoto» destinata a mettere in posizione di grande svantaggio l’economia elvetica, vista l’importanza del sistema creditizio nel Paese. E lo stesso governatore Jordan dice che il nuovo regime annullerebbe l’indipendenza della banca centrale, le darebbe nuovi ruoli pesanti e la esporrebbe a critiche politiche consistenti: distribuire denaro sarebbe facile, ma cosa succederebbe se ci fosse la necessità di una stretta monetaria, cioè di ritirare denaro dall’economia? Forse, domenica la proposta non passerà. Il genio è però fuori dalla bottiglia: chissà se vorrà rientrarci quando arriverà la prossima crisi finanziaria.