Corriere della Sera, 7 giugno 2018
Il tempo in cui gli arabi tifavano Italia ai Mondiali
Finale dei Mondiali 2006, nei campi rifugiati palestinesi il tifo è tutto per gli italiani, anche se nella Francia gioca l’«arabo» Zinedine Zidane. A Ramallah come in Giordania o in Libano i fuochi di artificio nella notte sono altrettanto colorati o rumorosi di quelli nelle città italiane. Perché i palestinesi ancora ricordano un’altra finale e un’altra vittoria della nazionale, quella contro la Germania l’11 luglio del 1982.
Poco più di due mesi dopo, nelle quaranta ore tra la sera del 16 settembre e l’alba del 18, i falangisti cristiano-maroniti irrompono nei campi di Sabra e Shatila, a «caccia di terroristi» dicono, e massacrano tra le 800 e le 4.500 persone, il numero dei morti non è mai stato stabilito. Appena saputo della strage Sandro Pertini, allora presidente della Repubblica, decide di recarsi a Beirut dove incontra Yasser Arafat. Con sé porta la coppa vinta in Spagna e la solidarietà dei calciatori, dedica la vittoria alle vittime: gli hanno raccontato che a luglio nei campi sventolavano solo le bandiere italiane.
Oggi nel mondo arabo è forse proprio Lionel Messi il campione più idolatrato: la maglia con il numero 10 – soprattutto quella blu-granata del Barcellona – è indossata dai ragazzini palestinesi in Cisgiordania o nella Striscia di Gaza. Durante i due giorni di «tour della pace» nell’estate del 2013 il Barcellona avrebbe dovuto giocare una partita benefica contro una squadra composta da atleti israeliani e palestinesi. La sfida era stata cancellata ancora una volta per l’opposizione di Jibril Rajoub, il capo della federazione calcio palestinese, e uno dei possibili successori del presidente Abu Mazen.