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 2018  giugno 07 Giovedì calendario

Calcio, squalifica, Alto Adige e Seppi: le parole chiave di Cecchinato

“Se qualcuno vi dice che lo aveva sempre saputo, che ci credeva o anche solo ci sperava, ditegli da parte mia che è un bugiardo. Fino a due giorni fa Marco Cecchinato era un perfetto sconosciuto, il 99% degli italiani non lo aveva mai sentito nominare”. La voce di Nicola Pietrangeli va e viene, tra il traffico romano. Il primo italiano a vincere un trofeo del Grande Slam – il Roland Garros nel 1959 e nel 1960 –, allergico come sempre ai giri di parole, commenta così l’incredibile impresa di quello che ora tutti chiamano il Ceck, e che prima nessuno chiamava. Il ragazzo che potrebbe affiancare lui e Adriano Panatta – 1976 – nella ristrettissima élite dei vincitori italiani sulla terra rossa parigina. “Non serve un commento tecnico, non avrebbe senso. Quello che Cecchinato ha fatto parla da solo, ed è semplicemente straordinario. Straordinario”, dice Pietrangeli.
La vittoria del 25enne palermitano contro Nole Djokovic – 12 Slam in bacheca, per 223 settimane numero uno Atp – è ancora negli occhi di tutti: 3 ore e 26 minuti da brividi, per staccare un biglietto per le semifinali di uno dei tornei più prestigiosi del pianeta, evento che all’Italia mancava dall’exploit di Corrado Barazzutti 40 anni fa esatti.
Il tennis non è tra gli sport più democratici: chi è più forte vince sempre o quasi, e per i più è bene adeguarsi presto al ruolo di sparring partner. Solo che a volte qualcuno se ne dimentica.
“Bravo, bravo, bravo: ha fatto qualcosa di incredibile. Non so se il suo sia un 13 al Totocalcio, o se potrà ripetersi”. Lo scopriremo domani, quando Cecchinato se la vedrà con l’austriaco Dominic Thiem, classe 1993, per il terzo anno di fila tra i fab four del XVI arrondissement.
Intanto è passato dal numero 72 al 27 del ranking Atp, oltre ad essersi assicurato un generoso assegno da 560mila euro. Niente male per uno che fino all’adolescenza non aveva ancora deciso se voleva giocare a tennis o a calcio. Cecchinato ha iniziato a fare i primi scambi a sette anni al Tennis club Palermo 2 di via San Lorenzo, dove ieri erano in centinaia incollati alla tv, e alla fine sono fluiti torrenti di spumante. Nel 2009, spinto dal cugino Francesco, che aveva intravisto in lui la scintilla del vero talento, si era trasferito all’altro capo della penisola, a Caldaro, per allenarsi con coach Massimo Sartori. A 17 anni da Palermo all’Alto Adige, come in una barzelletta sui carabinieri. Ma con parecchia dedizione alla causa in più.
Lassù si è allenato per anni con Andreas Seppi, l’enfant du pays bolzanino divenuto suo amico e mentore, che mai nella sua onesta carriera ha potuto ambire a una giornata come quella vissuta martedì dal collega. Nel 2010 le prime apparizioni tra i professionisti, poi gli anni nei circuiti locali. Nel 2014 la prima volta agli Internazionali di Roma e l’anno dopo l’ingresso nella top 100. Anche per uno cresciuto con il mito di Marat Safin, talento tra i più accecanti e esaltanti dell’epoca recente, un punto d’arrivo.
La caduta era dietro l’angolo. Nel luglio 2016 il palermitano è squalificato dal Tribunale Federale per 18 mesi e sanzionato con 40mila euro di multa per presunte scommesse. La sentenza è stata resa più mite in appello e poi estinta dal Collegio di Garanzia del Coni per un difetto procedurale.
Quando è tornato in campo, non sono stati in molti ad accorgersene.
Ma il 2018 è l’anno di Marco Cecchinato, ora allenato da Simone Vagnozzi. La preparazione invernale in Spagna denota una condizione mai vista prima, e lui è il primo ad accorgersene. A fine aprile, ripescato come lucky loser dalle qualificazioni, superando tra gli altri proprio Seppi, vince il suo primo trofeo Atp a Budapest. Nessun siciliano ci era mai riuscito. A Monaco, poco dopo, elimina Fognini, il bizzoso portabandiera italiano degli ultimi anni, la cui stella è ora eclissata dal capolavoro del Ceck. E siamo a Parigi, dove, prima di Djokovic, aveva già conquistato lo scalpo di Carreno Busta – numero 11 – e Goffin – 9 al mondo. “A volte basta un clic: ti entra un colpo, vinci un match, e man mano prendi fiducia in te stesso, coscienza di quanto vali”, spiega Omar Camporese, che a cavallo tra anni 80 e 90 aveva illuso l’Italia della possibilità di dare vita a una nouvelle vague tricolore sotto rete. “Oggi non c’è più grande differenza tra le superfici, anche se è normale che la terra rossa, un po’ più lenta, dia qualche chance in più di giocarsela anche contro i mostri sacri. Ma, soprattutto quando vai al tie-break, se non sei più che solido mentalmente, oltre che forte fisicamente, crolli. Cecchinato ha stupito tutti quanti”. E allora perché non sperare? “La svolta è già arrivata”, conclude Camporese. “Ora crederci fino in fondo è un obbligo”.