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 2018  giugno 07 Giovedì calendario

«Vivere senza figli ed essere felice»

All’inizio del Novecento, per scrivere Una donna, un libro che avrebbe aiutato intere generazioni di donne a trovare la propria voce oltre il muro dei divieti patriarcali, Sibilla Aleramo abbandonò marito e figli. Jane Austen non volle mai sposarsi, e tutti i suoi romanzi sono spade affilate contro la società del suo tempo. Nella storia della letteratura e dell’arte, sono molti gli esempi di donne che hanno avuto il coraggio di dire no alla famiglia tradizionale. Ma cosa accade se questa scelta si compie oggi, in una Italia disincantata? 
Le cose vanno così: nel nostro Paese sono più di 5,5 milioni le donne fertili tra i 18 e i 49 anni che rinunciano ad essere madri. La decisione non è, però, indolore. Anche se non esiste una legge scritta che impedisca a una ragazza di infischiarsene dell’orologio biologico, il mondo non le sarà comunque favorevole. «Che cosa ha di meglio da fare se non fare dei figli?» si chiederanno, magari sottovoce, madri, padri, mariti, ex mariti, sorelle, amiche che i figli non li possono avere. Alla fine, per esasperazione, anche la ragazza stessa finirà per chiederselo: che cosa ho di meglio da fare? Partendo da questo rumore di fondo, Michela Andreozzi, 49 anni, attrice, sceneggiatrice e regista di cinema (Nove Lune e mezzo), ha deciso di rompere il tabù che ci inchioda al terreno del biologico, scrivendo il suo primo libro, un po’ serio e un po’ no, dal titolo: Non me lo chiedete più, #childfree. La libertà di non avere figli e non sentirsi in colpa (HarperCollins, pp.192), da oggi in libreria.
A chi è diretto il suo libro?
«A tutte le donne che magari non hanno il coraggio di dirsi che i figli non li desiderano e che si sentono giudicate per questo. Ho capito che sarebbe diventato un libro quando la cartella con l’hashtag childfree sul mio desktop stava diventando gigantesca: tra mie riflessioni, frasi di blogger, lettere che mi scrivevano donne da tutta Italia, ho capito che la materia era importante e andava diffusa. Ho scelto la cifra umoristica che è quella a me più naturale».
Lei racconta che, durante il suo primo matrimonio, le sue idee erano più confuse.
«Sì, avevo un lavoro, anzi una carriera dignitosa, un guardaroba fornito (per non dire ridondante), un marito, un’automobile usata ma pagata in un’unica rata, l’iscrizione alla palestra (inutile), un abbonamento a teatro, il cinema tutte le settimane, vent’anni di contributi, delle belle tette, moltissima cellulite che comunque fa simpatia. Mancava solo il figlio».
E poi cosa è successo?
«È successo che per un po’ anche io mi sono detta: va beh, cerchiamo sto figlio. Quando l’ho comunicato, il mio ex marito era felice, le mie amiche erano felici. Io invece sentivo solo il frastuono. Insomma, alla fine di questo primo viaggio, il figlio non si è palesato, il mio matrimonio è allegramente naufragato, e io ho iniziato la mia nuova vita».
Che l’ha portata a dire no.
«Per dire no, devi lottare contro tutti. Persino contro i tassisti di Roma».
I tassisti?
«Una volta ne ho incontrato uno che non faceva altro che ripetermi: non sa cosa si perde a non fare figli!»
Una donna libera dai bambini, secondo lei, è molto diversa da una donna senza bambini. Non c’è il rischio di un giudizio di valore?
«Volevo dire che la donna childfree è spesso identificata con una childless. Non importa che lei abbia scelto».
Ce lo siamo chiesti a lungo anche quando è scoppiato il movimento #meetoo. Dove finisce il condizionamento sociale e psicologico e comincia la libera scelta? 
«Una volta mia madre mi disse: La vita è sempre una cosa a metà tra quello che decidi e quello che ti capita. I fatti di per sé sono neutri, siamo noi con le nostre reazioni a colorarli di vita. Non tutto avviene per scelta, a volte le cose capitano e basta».
E come la mettiamo con il senso di colpa?
«Diciamo che lo governo, perché non mi pongo come donna, ma come persona. Vado a un colloquio di lavoro, l’altro ci prova, io gli mollo un destro. La cosa finisce lì».
Mai un ripensamento sul figlio?
«Quando ho incontrato Max Vado, che è diventato il mio secondo marito, avevamo già 45 anni. Forse se avessimo avuto 20 anni, ecco, forse con lui avremmo potuto fare ragionamenti diversi. Ma è la storia delle sliding doors. Prendi una strada che ne esclude un’altra. L’importante è essersi incontrati e fare una vita di coppia che ci piace».
A un certo punto del libro, troviamo, un po’ a caso, Il lamento della velina. Perché ce l’ha tanto con le veline?
«Alcune delle mie più care amiche sono ex veline. Non ce l’ho con loro. Quello era un gioco per dire che anche la velina, dopo aver desiderato tutto, vestiti, macchine, uomini d’affari, alla fine vorrebbe una vita normale. Siamo tutti vittime di un ruolo».
Nella casistica degli uomini che incontrano le childfree (aspiranti padri, mamonni, padri già risolti, childfree inguaribili, allergici) lei crea una categoria a parte per suo marito: «Lui è un pezzo unico». Non teme di scatenare le invidie?
«Da buona figlia di madre napoletana, per casa spargo sale dappertutto. E ho tre corni rossi: uno è appeso sulla spalliera del letto, il secondo è attaccato al mio zainetto e il terzo me lo porto dietro quando vado in tournée.