La Stampa, 6 giugno 2018
Intervista a J-Ax
Quando ero un ragazzino, mi dicevano sempre che non sarei mai diventato niente. Erano sicuri di questo i miei bulli, i miei compagni, perfino i miei professori, per loro ero spazzatura…». Così ha scritto J-Ax sulla sua pagina Facebook prima di salire sul palco di San Siro per esibirsi con Fedez davanti a 79.500 persone. Ad lo show, gli schermi hanno mostrato un video-messaggio che ribadiva la forza della bontà di fronte alla cattiveria di chi rende un inferno la vita di molti ragazzi.
Ax è tra quanto hanno accettato di partecipare al progetto «Bullifuorilegge», un laboratorio sociale ideato, voluto e sostenuto da La Stampa con l’aiuto delle redazioni locali e di Specchio dei tempi su un’idea di Laura Carassai. Il progetto, partito un anno fa da Novara, girerà le scuole del Nord Ovest con la volontà di combattere un fenomeno che sta dilagando e rovinando la vita di molti teen-ager. Novara è stata scelta per i gravi casi di bullismo fra gli studenti che si sono verificati negli ultimi anni. Oggi J-Ax ne incontrerà 1.700 e con loro entrerà nel vivo del problema che per anni ha afflitto anche lui. «Il messaggio che ha dato il via allo show con me e Fedez vestiti da pugili e con gli occhi neri dalle botte ricevute era una parodia. Io il pugile non lo potrei mai fare perché non riuscirei a picchiare nessuno; non faccio a botte dai tempi delle medie. C’è una mia canzone che si intitola Ancora in piedi e lì canto la metafora di Rocky che prende una cifra di pugni ma conquista la gloria non picchiando ma incassando; alla fine il suo avversario si stanca e va giù». Una metafora convincente anche perché la sua carriera le ha regalato molte belle rivincite.«Quando i ragazzi mi raccontano gli episodi di bullismo che li hanno fatti soffrire, li sprono a trasformare le energie negative in energie positive. Nei miei pezzi scrivo e sollevo il problema della consapevolezza, anche perché in Italia c’è una versione paramafiosa del bullismo che è spesso il motivo stesso per cui un ragazzo non denuncia, non ne parla con i professori o a casa. Da noi se ti ribelli al bullo poi arrivano i fratelli e ti menano pure loro. Quello che dico al governo è di inasprire i provvedimenti disciplinari per chi bullizza. Ma insieme si cerchi di scoprire da dove nascono certi comportamenti».Ci sono casi in cui i ragazzi bullizzati, se si trovano di fronte a chi è più debole di loro, si comportano a loro volta da bulli.«Niente di più vero. Da ragazzino quando potevo permettermi di sfottere, sfogavo la frustrazione prendendo in giro chi era più debole di me. È un circuito perverso che va fermato, e lo si può fare solo con la comunicazione. Bisogna essere instancabili, lo so, ma io me la sento. Non smetterò mai di denunciare gli episodi di bullismo». Questo significa che anche oggi, superstar del pop, maturo, padre di famiglia, subisce il fenomeno?«Per colpa dei social a volte mi sembra di tornare ai tempi della scuola. A volte su Facebook o Twitter la violenza verbale è molto simile a quella che mi facevano allora. Il critico che si accanisce e magari pubblica milioni di post contro di me perché gli portano like. Gli hater dall’insulto cattivo, violento, esagerato: ammazzati perché sei vecchio e fai schifo. Si è visto anche con Vasco che per Modena Park su Facebook ha ricevuto tonnellate di insulti. Se sul web non è salvo Vasco allora non è salvo nessuno».A San Siro, rivolto al pubblico, ha detto: «sono arrivato in serie A ma sono un Fantozzi di serie A. E la sindrome del Fantozzi non me la leverò mai». È uno degli artisti più popolari d’Italia e si sente inadeguato?«Non direi inadeguato, ma dubbioso. Con Comunisti col Rolex, l’album con Fedez, abbiamo appena registrato il triplo platino, ogni singolo è andato al numero 1 eppure spesso mi chiedo se non sia solo merito di Federico. Poi però penso al mio disco da solo, Il bello d’esser brutti, con il quale avevo fatto il triplo platino e sette serate all’Alcatraz di Milano tutte esaurite e allora riprendo fiducia. L’Alcatraz non è San Siro ma le emozioni sono molto simili».Tre anni fa al concerto del Primo Maggio scatenò una polemica con Matteo Salvini a proposito della posizione della Lega nei confronti dei migranti. Ora Salvini è ministro dell’Interno.«A volte accadono cose che non ci si aspetta. Due mondi opposti si sono trovati d’accordo e ora abbiamo questo governo. Vede, la cosa che già mi spaventa è che conosco l’America vera, non quella liberal di Miami o New York, e so perché quella gente ha votato Trump. Purtroppo conosco bene anche l’Italia e so già cosa voteremmo se ci fosse un referendum sull’euro, ora non del tutto improbabile. Spero solo che quello che è successo ai britannici con la Brexit ci serva da lezione e per far fare bella figura ai populisti non si vada a sbattere contro un muro. Parlano di uscita dall’euro e poi chissenefrega delle generazioni che verranno; il populismo può essere un modo per lanciare una granata nel sistema, è vero, ma il prezzo sociale può essere altissimo».Lei ed Enrico Mentana sarete i protagonisti di un nuovo programma di Rai 2, «I supplenti», in particolare della puntata in onda il 20 giugno alle 21.50. Cosa succederà?«Torno a scuola ma dall’altra parte della cattedra. Un bell’esperimento: i ragazzi non sapevano nulla, solo che ci sarebbero state le telecamere in classe per riprese a uso dell’istituto. Entro in classe e inizio a scorrere il registro con il dito. Faccio l’appello e si comincia. Non ha idea delle facce degli studenti e di quello che succede, ci diciamo tante cose, si parla a cuore aperto, generazioni che si incontrano e barriere che cadono. Come dovrebbe essere sempre».