La Stampa, 6 giugno 2018
Le protesi fanno boom. Ma scatta l’allarme operazioni superflue
Un popolo di santi, navigatori e protesizzati. Aumentano a vista d’occhio gli italiani che muovono braccia e gambe per mezzo di una protesi. Secondo i dati elaborati dall’Università Campus Bio-Medico di Roma in 15 anni quelle alla spalla sono quintuplicate, raddoppiate quelle al ginocchio, mentre le protesi d’anca sono aumentate di quasi il 20% ma solo negli ultimi sette anni. Un boom destinato a crescere nel tempo, se sono vere le proiezioni che vengono dagli Usa, che da qui al 2030 prevedono quasi raddoppiare le protesi d’anca e addirittura quintuplicare quelle al ginocchio. L’anca resta l’articolazione più sostituita con il ricambio bionico (56,3%), seguita dal ginocchio (38,6%) dalla spalla (3,9%) e dalla caviglia (0,3%).
Del resto l’artrosi dilaga, tant’è che ne soffre il 63% dei pazienti operati all’anca (che nel 30% dei casi si cambia a causa una frattura al femore), il 95% di quelli che hanno impiantato una protesi al ginocchio.Articolazioni che scricchiolano ma anche altri organi che non rispondono a comando. «In Italia», spiega il professor Gabriele Antonini, urologo dell’Università La Sapienza di Roma, «si fanno circa 350 mila impianti di protesi idrauliche al pene per sconfiggere l’eiaculazione precoce e la disfunzione erettile».
L’impennataDietro questa impennata di pezzi di ricambio impiantati nelle nostre articolazioni c’è soprattutto l’invecchiamento della popolazione e il fatto che un ultrasessantacinquenne si sente come un cinquantenne e non vuole rinunciare nemmeno alla partita a tennis o a calcetto. Ma il boom nasconde anche l’attitudine di alcuni medici ad applicare protesi quando non serve, come denuncia una parte degli stessi ortopedici nel loro recente Congresso. E poi il business delle protesi, come confermano i casi giudiziari degli ultimi anni, ha mostrato a volte di muoversi in Italia oltre i confini della legalità.Sarà imperizia o qualche volta il profumo del denaro, fatto sta che sempre più pazienti devono poi ri-operarsi perché impiantare una protesi quando non serve significa tornare di nuovo a fare i conti con il dolore. Le linee guida internazionali dicono infatti che l’applicazione di una protesi è appropriata «quando l’articolazione ha un deficit di mobilità con l’aggiunta di dolore, sia in movimento che a riposo». Ma non sempre si segue il criterio raccomandato dalle società scientifiche. E così a volte si impiantano anche ginocchia e spalle quando si potrebbe invece ricorrere a trattamenti meno invasivi e limitanti per i pazienti. Senza alimentare quel turismo delle protesi di chi una volta fatto l’impianto pensa di sostituirlo di nuovo perché il dolore riappare come prima. «Se la protesi è impiantata quando esiste ancora uno spazio articolare finisce per provocare nuovamente dolore», denuncia il prof. Rocco Papalia, primario di ortopedia al Campus. Anche perché impiantare una protesi non è sempre una passeggiata per il paziente, trattandosi di interventi invasivi. Secondo un rapporto dell’Istituto superiore di sanità, infatti, le infezioni colpiscono il 7,7% degli interventi per erosione dell’anca e ben il 27, 1% di quelli al ginocchio. Numeri da tenere bene a mente prima di scegliere se finire o meno in camera operatoria.
Operazioni hi techC’è però da dire che sia la qualità delle protesi che la chirurgia in questo campo hanno fatto passi da gigante negli ultimi anni. L’uso dei robot sta ad esempio prendendo sempre più piede per questo tipo di interventi. Secondo i dati forniti pochi giorni fa dal Congresso di ortopedici e traumatologi (Otodi), nel 2017 con questa tecnica ne sono state impiantate circa 15 mila, ma potrebbero superare quest’anno quota 18mila. A beneficio di braccia e gambe sempre più bioniche e hi tech.