La Stampa, 6 giugno 2018
Un database globale: il piano di Trump per schedare i giornalisti
L’amministrazione Trump ha avviato un progetto per schedare e monitorare migliaia di giornalisti in tutto il mondo. L’operazione è stata presentata come una normale iniziativa per conoscere meglio il modo in cui gli Stati Uniti vengono rappresentati, e magari aiutare a diffondere le informazioni, ma ora che sta entrando nella fase operativa i dubbi si sollevano anche in ambienti conservatori e vicini al governo.
Il 3 aprile scorso il Department of Homeland Security, in sostanza l’equivalente del nostro ministero degli Interni, aveva pubblicato un bando per individuare un contractor esterno capace di costruire un enorme database degli operatori dell’informazione. L’obiettivo era individuare e monitorare circa 290mila fonti globali, come giornalisti di tutte le piattaforme esistenti, direttori, corrispondenti esteri, blogger e in generale “media influencer”.
Capire “il sentimento” Il raggio di azione doveva essere globale, arrivando a coprire oltre cento lingue, incluso arabo, cinese e russo, per fare la traduzione istantanea in inglese. Lo scopo era raccogliere dati sui soggetti monitorati, seguire le loro pubblicazioni, ma anche comprenderne «il sentimento». Al momento della pubblicazione del bando diversi osservatori avevano sollevato obiezioni, ma il portavoce del Dhs Tyler Houlton aveva liquidato i critici con un tweet, accusandoli di essere dei «conspiracy theorists». In effetti anche l’amministrazione Obama aveva condotto operazioni di monitoraggio dei media, focalizzate in particolare sul terrorismo, e questa poteva essere una semplice iniziativa di pubbliche relazioni, magari centrata sul contrasto delle “fake news” e dei tentativi esterni di influenzare il processo politico democratico. Sette aziende si erano proposte per gestire il progetto.Ora però i dubbi cominciano a emergere anche negli ambienti vicini all’amministrazione Trump, come il sito Drudgereport, che ha ripreso un articolo piuttosto critico di ZeroHedge: «Speravamo – dice il testo – che una volta passato Barack Obama, avremmo visto meno di questa insensata sorveglianza da Grande Fratello, e invece sembra peggiorare». La domanda, posta a suo tempo anche da altri media non ostili ai repubblicani come la rivista Forbes, è a cosa serva questa enorme schedatura: «La libertà di parola è uno dei nostri diritti più fondamentali, e molti temono che il monitoraggio e il tracking siano i passi iniziali che potrebbero portare ad un giro di vite riguardo le attività su internet». I giornalisti che non si comportano bene saranno perseguiti?
La minaccia per i mediaForbes, criticando l’iniziativa, aveva fatto riferimento al rapporto della Freedom House, secondo cui la libertà dei media ha raggiunto il livello più basso negli ultimi 13 anni: «Le minacce sono forti in paesi autoritari come Russia e Cina, ma sono i vasti attacchi contro i media da parte di Donald Trump, prima come candidato e ora come presidente, che alimentano le previsioni di ulteriori arretramenti negli anni a venire». Quindi Forbes si era chiesta: «Questa azione del Dhs potrebbe essere un modo per il governo di tenere sotto controllo tanto i giornalisti americani e stranieri, quanto i “cittadini giornalisti”, minacciando non solo la libertà di stampa, ma anche la libertà individuale di parola?».