il Fatto Quotidiano, 6 giugno 2018
Per capire il maschilismo, leggete gli insulti a Diletta Leotta sui social
Il femminismo è un luogo in cui troppe cose fatte della stessa sostanza non si toccano. Ci pensavo giorni fa, quando nell’arco di pochi secondi, sono passata dal leggere un tweet di Michela Murgia al notare un commento sotto una foto di Diletta Leotta. La Murgia, con ammirevole tenacia, sta da tempo ponendo l’attenzione sul fatto che alcuni dei principali quotidiani nazionali non ospitino firme femminili in prima pagina. O su come, se le ospitano, siano tutte incaricate di commentare il costume o di toccare questioni laterali e non la politica. La faccenda è diventata argomento di discussione in dibattiti pubblici, ha attirato l’attenzione di personaggi autorevoli e ha perfino (forse) innescato qualche timido cambiamento.
Certo, parrebbe un problema di nicchia (delle giornaliste, nello specifico) ma è evidente che non lo è. Il pensiero più ampio e sottinteso è che le donne – e tale pensiero è spesso il parto di un inconscio sessista e primitivo, più che di un pensiero lucido e premeditato – non possiedono l’autorevolezza. Non era una questione di cui c’eravamo resi conto tutti, questa della quasi totale assenza di editorialiste. In fondo siamo in pochi a leggere le firme sotto gli articoli e siamo pure sempre di meno a leggere i giornali. E però il faro s’è acceso. C’ha pensato la Murgia. Meno male. E veniamo alla Leotta.
Dicevo che poi sono finita a leggere alcuni commenti sotto una sua foto su Instagram come tante altre. Scorrevo la sua pagina – i commenti erano circa 1500 – e quello che leggevo provocava una sorta di strano effetto ipnotico, come se di commento in commento, mi assalisse un graduale malessere, ma un malessere necessario. Istruttivo. Illuminante.
La pagina instagram di Diletta Leotta è la cloaca massima del peggior cameratismo maschile. E non è solo espressione, ma anche incubatrice del peggior spregio che si possa riservare a una donna. Adulti, padri di famiglia, operai, laureati, nonni e bambini di 10 anni si incontrano lì per giocare tutti insieme, col collante potente del cameratismo, a chi dice la cosa più volgare, più becera, più sessualmente esplicita. E non è neppure più qualcosa di tacito. Lo esplicitano in tanti, leggendo qua e là sulla sua pagina, che il gioco è diventato un vero contest, una specie di palestra del maschilismo nostrano, in cui i maschi più beceri allenano i muscoli dell’ignoranza. Della totale assenza di rispetto nei confronti delle donne. Cosa c’entra la Murgia, direte voi.
Mi chiedevo come mai la questione più invisibile delle poche editorialiste fosse diventata materia di dibattito e condivisibile motivo di irritazione da parte delle femministe più autorevoli e del perché quello che accade ormai da tempo sulla bacheca della Leotta, non sia un tema di cui le donne più combattive in tema di rispetto, diritti e conquiste da ottenere, dovrebbero occuparsi. E qui torniamo al punto di partenza.
Il femminismo è un luogo in cui troppe cose fatte della stessa sostanza non si toccano. Gli insulti alla Leotta sono qualcosa di comunemente accettato, di assimilato, come l’assenza di firme femminili sulle prime pagine dei giornali. È dunque, qualcosa di pericoloso, perché lo vediamo, è lì, ma ci pare una diretta e inevitabile conseguenza dell’essere donne. (specie se belle e appariscenti). Ci toccano gli articoli sul matrimonio di Meghan e Harry. Ci tocca il commento sessista. Per il fenomeno dei commenti alla Leotta, però, una Murgia che accende un faro non esiste.
Bisognerebbe fondare un femminismo mainstream che desse all’olezzo della fallocrazia, lo stesso peso, che quell’olezzo arrivi dalle pagine di un quotidiano o che arrivi dalla bacheca di una Leotta qualsiasi.
“Tra qualche anno questa bacheca verrà studiata”, ha scritto l’amministratore della pagina Gli odiatori tra i commenti alla giornalista di Sky. E ha ragione. Perché quel luogo è un autentico fenomeno sociologico. Sono tanti i commentatori a sottolinearlo. “Sono qui per leggere solo i commenti”, “Oggi chi ha vinto l’Oscar per il miglior commento?”, “Torno tra poco per leggere i commenti, dateci dentro”, scrivono in tantissimi. E se la Leotta posta una foto con i suoi libri dell’università, gli stessi, mettono like a pioggia su commenti tipo: “Ma il tirocinio pre-laurea l’hai fatto alla San Pellegrino per imparare a fare i chinotti?”. E no, chi lo scrive non è un contadino analfabeta ma Marco, studente di ingegneria. “Ti scoperei dalla testa ai piedi” lo scrive un ragazzino di 11 anni. E poi “Sei da trivellare”, “Un bel porno quando?”, “Per te ci vuole un cavallo”, “Al mio tre scatenate la mano!”, “Con te manco l’ascensore riesce a scendere tanto è duro” e così via.
Sia chiaro, ho selezionato le frasi più edulcorate. Immaginate quelle scartate, moltiplicate per migliaia e migliaia di volte, infilateci nel mezzo il tifo di quelli che “I vostri commenti mi fanno ammazzare dal ridere! Ancora!” e avrete una vaga idea di quello che succede lì dentro. Qualcosa che ai maschi diverte e su cui le donne non hanno nulla da dire. Perfino la Leotta non ha mai spiccicato parola sul tema. Non so se è perché questo zoo lo ritiene una delle controindicazioni del successo (e farebbe male), non so se è perché ritiene che il fenomeno non sia arginabile (e avrebbe solo parzialmente ragione), non so se in fondo pensi che follower non olet o se semplicemente abbia deciso di fregarsene, certo è che la sua indifferenza e quella di tutte le donne sulla questione, che abbiano una penna in mano o che non ce l’abbiano, mi sorprende.
Accade qualcosa di peggiore dell’indifferenza. C’è un racconto distorto, allusivo, goliardico sulla faccenda. Titoloni su siti e giornali della serie “La foto della Leotta col microfono manda in tilt i suoi fan”, “La Leotta fa impazzire Instagram”, “La bombastica Leotta fa incetta di like”, come se la notizia fosse il suo successo su Instagram, non quello che accade puntualmente sotto una sua foto. E invece anche questo è un tema. Lo è tutto quello che parte dal basso, che è un vivaio, che forma una cultura, una mentalità, anche solo un atteggiamento. E finché femminismo non sarà anche occuparsi e preoccuparsi del ruolo e della tutela della dignità della donna in un reality o su una bacheca Instagram, non vinceremo mai.
Nel frattempo, andate a guardare la pagina della Leotta. Vedrete sì, le sue fotografie, ma ancor più quelle nitide del machismo più disgraziato e vomitevole in cui vi siate mai imbattuti.
Auguri.