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 2018  giugno 06 Mercoledì calendario

L’elegantissimo Conte che ricorda Forlani

La trapezista Erendira Wallenda, narrano le cronache, è rimasta l’anno scorso nel vuoto sulle cascate del Niagara, per un tempo interminabile, appesa solo coi denti. Ma il premier italiano Giuseppe Conte visto ieri al Senato, a occhio, è chiamato a dimostrare un equilibrio non meno temerario. E avrà bisogno pure lui, a occhio, di restar aggrappato serrando bene molari e premolari.
Tener insieme le pretese dei grillini e le pretese dei leghisti, infatti, non sarà affatto facile. Certo, l’uomo scelto da Luigi di Maio e Matteo Salvini per fare, sia detto col massimo rispetto, il nobile servant dei due padroni, ha mostrato ieri al debutto nell’aula di Palazzo Madama, terreno di sanguinose battaglie parlamentari a dispetto di velluti e stucchi, di aver doti di trapezista. E dopo aver reso omaggio al presidente Sergio Mattarella «che rappresenta l’unità nazionale» (manco un applauso: muti) si è avviato sul filo del programma stando miracolosamente attento a non spostare il peso di un millimetro più in qua o più in là. 
I più anziani, ricordando le acrobazie di Arnaldo Forlani in mezzo agli amatissimi aspiranti sicari democristiani, dicono di vedere in lui qualcosa di quell’indimenticato «Coniglio Mannaro». Uno che un giorno, al cronista che l’aveva interrotto dicendogli «’A preside’, s’accorge che nun sta dicendo niente?», rispose liquido: «Potrei andare avanti per ore». Ma lo è davvero, l’avvocato foggiano, una specie di «populista doroteo»? 
Elegantissimo, pochette bianca che sporge dal taschino, non un capello fuori posto, ringrazia per l’investitura, assicura di essere «mosso da null’altro che da spirito di servizio» e spiega il programma varato dai «consules» grillino e leghista, i cui contenuti rivendica di avere «condiviso, pur in via discreta, sin dalla fase della sua elaborazione».
Il contratto a fondamento del governo «è stato giudicato, a seconda dei punti di vista, di destra o di sinistra»? Per carità, lui «rispetta le analisi» ma pensa «più proficuo distinguere gli orientamenti politici in base all’intensità del riconoscimento dei diritti e delle libertà fondamentali della persona». Sa che gli sarà rinfacciato che sia i leghisti sia i grillini non votarono, ad esempio, la legge sulle unioni civili. Per non dire di quella sullo ius culturae. Ma tira diritto. Con una sicurezza di sé che potrebbe tornargli utile.
«Le forze politiche che integrano la maggioranza di governo sono state accusate di essere “populiste” e “anti-sistema”», dice, ma «sono formule linguistiche che ciascuno può declinare liberamente». E tira in ballo le «riflessioni di Dostoevskij tratte dalle pagine di Puskin»: «Se “populismo” è l’attitudine della classe dirigente ad ascoltare i bisogni della gente, se “anti-sistema” significa mirare a introdurre un nuovo sistema, che rimuova vecchi privilegi e incrostazioni di potere, ebbene queste forze politiche meritano entrambe queste qualificazioni».
Ciò detto, scodella i propositi del governo: «Metteremo fine al business dell’immigrazione cresciuto a dismisura sotto il mantello d’una finta solidarietà», «combatteremo la corruzione con metodi innovativi come il “daspo” ai corrotti» («Che vuol dire: li lascerete fuori dagli stadi?», ammiccherà Ignazio La Russa), «rescinderemo il legame tra politica e sanità, per rendere quest’ultima finalmente efficiente su tutto il territorio nazionale». E poi «aumenteremo fondi, mezzi e dotazioni per garantire la sicurezza in ogni città» e «contrasteremo con ogni mezzo le mafie, aggredendo le loro finanze, le loro economie e colpendo le reti di relazioni che consentono alle organizzazioni criminali di rendersi pervasive…». 
E a mano a mano che va avanti, dispensando secondo gli avversari «un colpo al cerchio e un colpo alla botte», emerge la volontà di seppellire i «padroni» del passato tenendo insieme tutto. Il conflitto di interessi che «è un tarlo che mina il nostro sistema economico-sociale fin nelle sue radici» e l’introduzione di «una pensione di cittadinanza», il richiamo ai valori di fondo («Non siamo e non saremo mai razzisti. Vogliamo che le procedure mirate all’accertamento dello status di rifugiato siano certe e veloci, anche al fine di garantire più efficacemente i loro diritti») e il «potenziamento della legittima difesa», il reddito di cittadinanza («È ora di dire che i cittadini hanno diritto a un salario minimo orario, affinché nessuno venga più sfruttato, che hanno diritto a un reddito di cittadinanza e a un reinserimento al lavoro qualora si ritrovino disoccupati» e insieme una svolta epocale sulle tasse: «L’obiettivo è la “flat tax”, ovvero una riforma fiscale caratterizzata dall’introduzione di aliquote fisse, con un sistema di deduzioni…». Quando? Come? Si preciserà…
Un elenco infinito. Compreso un impegno sulla «pratica sportiva» e un accenno alle «piccole associazioni sportive dilettantistiche». Ma i tagli, per recuperare i soldi di tanta generosità? Un accenno «alle pensioni e ai vitalizi dei parlamentari, dei consiglieri regionali…» e agli «assegni superiori ai 5.000 euro netti mensili nella parte non coperta dai contributi versati»… Fine. 
Ma emergono altri buchi. Srotolando il suo discorso di 5.934 parole, il prof. Conte così generoso di citazioni sul «cambiamento» (13) dimentica quasi il macigno della burocrazia (una citazione en passant: «La nostra pressione fiscale, unita a un eccesso di burocrazia…»), il Sud («Ci adopereremo per salvaguardare le Regioni ad autonomia speciale, del Nord e del Sud…») e poi del turismo (zero)… Su tutto, però, svetta l’assenza totale di attenzione alla cultura e ancor più al nostro patrimonio culturale. Zero. Se non un cenno nella replica. Dirà che non poteva citar tutto. Ma in un’orazione molto più lunga del discorso con cui Giovanni XXIII aprì il Concilio Ecumenico Vaticano II…
Ed ecco che, nel tentativo di tener dentro troppe esigenze diverse, il premier si espone al pericolo di mettersi nella scia del celebre comizio di Consalvo Uzeda di Francalanza nel libro I Viceré di Federico De Roberto, ripreso nel film di Roberto Faenza. Quando l’ultimo discendente dei viceré spagnoli affronta i tempi nuovi così: «Auguro la formazione di un partito capace di darci l’ordine all’interno e la pace con l’estero. Che protegga i laici ma anche la Chiesa. Che realizzi riforme ma conservi anche le tradizioni. Il passato e l’avvenire. Machiavelli ma anche Bacone. E dopo aver studiato Proudhon sono convinto che la proprietà è un furto. Ci sono tuttavia delle proprietà che dobbiamo riconoscere legittime. Viva il Re! Viva la Rivoluzione! Viva Sua Santità!».