Com’è iniziata la vostra amicizia?
«Il primo ricordo diretto che ho di Pino risale al 1988. Ci trovammo per caso a Parigi, tutti e due a fare promozione. All’epoca Pino in Francia era già seguito. Stava esportando la sua napoletanità nel mondo. Coincidenza volle che fossimo nello stesso hotel. Io lo sapevo che era lì, lui all’epoca per me era come Gesù, un mito, in concerto ero andato a vederlo più volte. La prima volta forse nel 1979, mi ricordo che a un certo punto sono dovuto andare via perché c’era più fumo in platea che sul palco. A quei tempi succedeva. Ma non era mai capitato che ci incontrassimo, fino a quel giorno a Parigi. La cosa bella è che fu lui a cercarmi».
Che impressione le fece quel giorno?
«Che fosse un uomo di grande cuore, era buono, anche se con un carattere molto forte.
Se gli piacevi ti dava tutto, se no ti diceva subito quello che pensava di te. Mi disse: “Ti voglio regalare una chitarra”, sapeva che andavo matto per le chitarre.
E così fece, e non era uno scarto, era una chitarra pazzesca, una Gibson 175 semiacustica, un gioiello, e io la tengo ancora come una reliquia».
Amicizia a parte, nessuno avrebbe accostato i vostri stili di musica, eppure è successo, avete vissuto un’esperienza di palco insieme. Come successe?
«Era il 1994, un’avventura che non aveva precedenti. Non ricordo bene come cominciò, ma ci ritrovammo a pensare un tour in tre, io lui e Lorenzo Jovanotti, a quei tempi non si usava molto collaborare tra artisti e fece un certo scalpore, anche perché eravamo diversissimi».
La conferenza stampa fu piuttosto singolare. A Milano c’erano Lorenzo e Pino e lei in collegamento da Caracas…
«Sì quell’anno ero in giro per il mondo, un tour pazzesco con un aereo Antonov, uno dei due che aveva usato Michael Jackson, una follia. Successe che l’ultima data era in Colombia, in uno stadio, e la cancellarono il giorno stesso, scoppiò l’inferno, siamo rimasti barricati in albergo per quattro giorni, poi a furor di popolo il concerto fu fatto in uno spazio enorme e c’erano 100000 persone, succedeva di tutto. In quello stesso anno pensammo di partire per l’estate in tre, e alla fine furono 50 date, un successo clamoroso, andammo anche all’estero, e questo mi causò dei problemi con Pino. A fine tour non ci lasciammo benissimo».
Come mai?
«In quei concerti uscivamo tutti e tre insieme, poi ognuno entrava nel concerto dell’altro. Poi però quando andammo all’estero gli organizzatori locali volevano che fossi io a chiudere. Ero molto più conosciuto all’estero. Era naturale. A Lorenzo andava benissimo. Ma Pino era un’altra storia, dissi a Salvadori, che organizzava il tour: chi glielo dice? A me non me ne frega niente, ma la logica, in effetti… lui però la prese malissimo e per un po’ mi mise il muso.
Poi riprendemmo a vederci, ma mi diceva sempre che per quella vicenda ero uno stronzo.
Ma a parte quella pausa, siamo sempre stati vicini, quando lo conobbi stavo ricostruendo tutta la mia situazione, e lui è stato importante. Io poi registravo i dischi in America, poi ci fu l’incontro con Tina Turner, la Sony che offriva 50 milioni di dollari per un contratto, insomma era facile perdere la testa. Clive Davis, uno dei più grandi discografici della storia, mi disse “vieni a vivere a New York, ti faccio diventare famoso in America”, ma io dissi di no».
Perché disse di no?
«Era una scelta di vita, non me la sentivo, avevo appena conosciuto Michelle, e poi per me già passare da Roma a Milano era stata dura».
Cosa amava Pino della sua musica?
«La spontaneità, gli piaceva il timbro della voce, e anche, come diceva lui, quella parte blues nascosta nel mio pop.
E anche la mia storia. All’inizio quando cominciai ad andare fuori dall’Italia, mi ritrovai in posti strani, dove c’erano solo italiani.
Dissi al mio manager che non mi piaceva, se dobbiamo farlo dobbiamo andare nei posti veri, dove si fanno i concerti. Lui disse che capiva benissimo e da lì è cominciato tutto. Alla fine ho trovato un posto nel mercato all’estero, ma me lo sono cercato.
Questo Pino lo sapeva e lo apprezzava. Credo che alla fine amasse il mio essere normale».
Gli ultimi ricordi?
«Era carismatico, personale e scriveva da Dio. E poi era testardo, quando si metteva in testa una cosa non c’era modo di dissuaderlo. Negli ultimi anni era messo male, si vedeva, si stancava facilmente, ma non mollava mai, voleva fare, non si risparmiava».
Sarà difficile trovarsi lì a Napoli giovedì sera. Cosa farà per ricordare il suo amico?
«Intanto sarò lì con Lorenzo, e questo aiuta. In un certo senso era già successo, nel 2015.
Lorenzo aveva il concerto al San Paolo e mi mandò un messaggio: vieni, dobbiamo fare qualcosa per il nostro amico. Io partii immediatamente. Con Lorenzo canteremo A me me piace ‘ o blues.
Io proverò a fare ’ O scarrafone voce e chitarra e poi vorrei fare un pezzo con la band storica di Pino, dovrebbe essere A testa in giù, solo che al momento mi hanno detto che non possono abbassarla di tonalità perché verrebbe uno schifo, il che significa che se non troviamo una soluzione dovrò cantarla con la tonalità di Pino.
Un dramma».
L’appuntamento per rivere la magia della musica di Pino è giovedì sera al San Paolo a Napoli…
«Vedremo. Fabiola, l’ex moglie di Pino mi ha dato una sua giacca, per indossarla allo stadio.
Non so se mi starà bene, ma ci proverò lo stesso».