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 2018  giugno 05 Martedì calendario

La scarpa ricreata in 3D e la traccia del sangue. Risolto il delitto del ’99

Otto colpi calibro 7,65 sparati da breve distanza, cinque andati a segno e l’ultimo, quello di grazia, esploso a bruciapelo alla testa. Come un’esecuzione di mafia, ma nelle strade di Bologna. Un delitto inghiottito dall’omertà e da indagini poco incisive per 19 anni, fino all’epilogo da crime story che ha portato in carcere con l’accusa di omicidio premeditato e aggravato dai futili motivi il presunto killer di Valeriano Poli, buttafuori di 34 anni all’epoca molto conosciuto negli ambienti della movida bolognese. 
A inchiodare Stefano Monti, 59 anni, un tempo temuto esponente della piccola mala cittadina, sono stati una goccia di sangue, il suo, lasciato sulla scarpa della vittima la sera dell’agguato, un vecchio filmato Vhs e una tecnica da Csi mai usata prima dalla Scientifica in ambito forense.
Secondo le indagini fu la voglia di vendetta ad armare l’assassino che intendeva lavare col sangue, scrive il giudice, l’affronto subito mesi prima perché il buttafuori l’aveva pestato davanti agli amici. «Torno col cannone», avrebbe detto. Così si procurò un’arma e dopo essersi esercitato al poligono, la sera del 5 dicembre ‘99 giustiziò Poli sotto casa. Le indagini dell’epoca coinvolsero Monti ma si arenarono di fronte ai silenzi dei testimoni e all’assenza di un Dna sovrapponibile a quell’unica traccia.
Diciannove anni dopo gli investigatori della Mobile guidati dal dirigente Luca Armeni e coordinati dal pm Roberto Ceroni hanno riaperto i vecchi fascicoli indagando a tutto campo. Ma la svolta è arrivata con la tecnica dell’Analysis of virtual evidence, il cosiddetto teatro virtuale. Avuta la certezza che il Dna dell’indagato fosse lo stesso trovato sulla scarpa della vittima – risultato ottenuto con un alcol test simulato – era necessario datare quella macchia di sangue per arrivare a stabilire che era finita lì durante la colluttazione la sera dell’omicidio e non prima. Gli esperti della Scientifica di Roma hanno lavorato su un filmato amatoriale di un battesimo girato pochi giorni prima del delitto nel quale la vittima indossava le stesse Timberland della sera in cui fu ucciso. Partendo dal video messo a disposizione dalla famiglia del buttafuori, è stata creata una riproduzione tridimensionale dello scarponcino sinistro e della stanza della casa dove all’epoca era stato girato il video. Sono stati quindi estratti i fotogrammi più interessanti e, sovrapponendo scarpa e modello, si è stabilito che le «discromie» scure erano riconducibili a pieghe e ombre ma non al sangue. 
L’inchiesta ha potuto contare anche su indagini tradizionali con testimoni dell’epoca. In pochi però hanno collaborato. Un clima di omertà, così l’ha definito il procuratore Giuseppe Amato che ha fatto sue le parole del Papa a Ostia. Non a caso un vecchio amico di Monti, secondo gli investigatori presente la sera del pestaggio, prologo dell’agguato, è indagato per favoreggiamento. Dalle indagini è peraltro emerso come il presunto assassino abbia avvicinato i testimoni dopo aver capito che il caso era stato riaperto.
Monti, incensurato, indagato già all’epoca ma poi archiviato, veniva considerato «un picchiatore», dal carattere violento e irascibile. «Una mina vagante», aggiunge il giudice. Un uomo che per quasi vent’anni è riuscito a inabissarsi.