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 2018  giugno 05 Martedì calendario

Con i tweet contro le élite (europee). Il falco in missione per Donald

C’è un ambasciatore in Germania deciso a «incoraggiare i movimenti populisti d’Europa a ribellarsi contro le élite». Che vuole «rafforzare altri conservatori e altri leader nella loro battaglia contro gli establishment politici e mediatici». Che invita apertamente «alla rivolta nei confronti di chi pretende di stabilire in anticipo l’esito di una elezione», promettendo «sostegno massiccio».
No, non è l’ambasciatore russo. È Richard Grenell, da meno di un mese capo della missione diplomatica americana a Berlino. Lo ha scelto personalmente Donald Trump. E da quando ha messo piede nella capitale tedesca, non passa giorno senza che si faccia beffe di ogni regola diplomatica, di ogni convenzione, di ogni dovere di non interferenza negli affari del Paese, in questo caso addirittura del Continente che lo ospita. «Il falco che strilla», lo ha ribattezzato Der Spiegel.
Le dichiarazioni affidate da Grenell a Breitbart London, versione inglese del celebre sito ultraconservatore di Steve Bannon, sono solo le ultime in ordine di tempo. Ma sicuramente sono anche le più gravi. «È una fase molto eccitante per me – ha detto l’ambasciatore —, non c’è dubbio che i conservatori abbiano il vento in poppa in Europa. L’elezione di Donald Trump ha messo nuovi individui e gruppi in condizione di opporsi alle classi politiche che vorrebbero determinare già prima di una elezione chi vince e chi governa». Grenell sogna addirittura una strategia, per appoggiare in tutta l’Europa candidati e forze consistentemente conservatrici. Un nome per tutti: quello del cancelliere austriaco Sebastian Kurz, che il nostro definisce una «rockstar» e del quale si dice «grande fan». Quanto alla Germania, aggiunge Grenell con un vocabolario che sembra uscito da un documento di Alternative für Deutschland, il suo problema più grande oggi è «l’immigrazione a catena».
Cinquantun’anni, laureato ad Harvard, all’evidenza Richard Grenell si sente investito di una missione in nome e per conto di Donald Trump, il suo sistema ideologico, la sua visione sovranista dei rapporti internazionali. Un mese fa aveva appena presentato le credenziali al presidente della Repubblica, Frank-Walter Steinmeier, che subito si era prodotto in un tweet intimidatorio, dopo l’annuncio con cui Trump aveva ritirato gli Usa dall’accordo nucleare con Teheran: «Le aziende tedesche smettano di fare affari con l’Iran, immediatamente». Forse solo nelle dittature sudamericane degli Anni Settanta, un ambasciatore Usa si poteva permettere cose simili.
Ma Grenell è fatto così. Twitta quanto e più del suo presidente. Ama la provocazione più del compromesso. E soprattutto è fuori da ogni schema, diplomatico, politico e personale. Non ultimo, il fatto che sia dichiaratamente gay e sia arrivato a Berlino con il suo partner, Matt Lashey, un «nerd» che sviluppa applicazioni per la salute e il loro cane Lola. Non una condizione semplice, la sua omosessualità, dentro il Partito repubblicano. Nel 2012 Grenell fu costretto a dimettersi dal team di politica estera del candidato presidenziale Mitt Romney, di cui era portavoce, perché i gruppi della destra evangelica erano insorti contro di lui. 
I suoi legami forti però li aveva già costruiti e alla fine gli sono serviti. Il primo e più antico è quello con l’ex governatore di New York, George Pataki, di cui fu l’addetto stampa. Poi venne il senatore John McCain, per il quale Grenell lavorò nella sfortunata campagna del 2000 contro George W. Bush per la nomination repubblicana. Infine, e siamo all’attualità, decisivo è il legame con John Bolton, il falco dei falchi da poco entrato nello staff di Trump come consigliere per la sicurezza nazionale: Grenell ne fu il portavoce nel 2005-2006, quando questi era l’ambasciatore di George W. Bush alle Nazioni Unite. Da allora Bolton è il suo mentore, la persona dell’amministrazione a lui più vicina.
Da ambasciatore a Berlino, Grenell vuole violare un altro tabù, facendosi attivista politico. Ma questa volta rischia grosso. È arrivato in Germania, dove le regole sono tutto.