Il Sole 24 Ore, 5 giugno 2018
Usa, Russia e Iran: il conto per l’export Ue dell’era Trump
La mappa del commercio mondiale nell’era di Trump è un Risiko parecchio ingarbugliato. Lo scontro è partito a gennaio dagli Usa con i primi balzelli sulle lavatrici e i pannelli fotovoltaici, che colpivano soprattutto la Cina; progressivamente, i fronti si sono allargati: all’Unione europea, alla Russia e potenzialmente anche all’Iran. Dopo il no all’esenzione dai dazi sull’acciaio e sull’alluminio il prossimo, pericoloso attacco di Washington verso Bruxelles potrebbe toccare alle auto. Un dossier che per l’Italia varrebbe oltre 5 miliardi di export verso gli Usa, fra veicoli e componentistica.
Ma quanto costa, tutto questo protezionismo, sull’altare degli scambi commerciali mondiali? Secondo Sace (che presenterà i suoi calcoli martedì 12 giugno, con il Rapporto Export) se il peggiore degli scenari si realizzasse, con anche l’uscita degli Usa dal Nafta, la crescita globale si indebolirebbe: nel 2018 crescerebbe del 2,8%, cioè 0,5 punti percentuali in meno rispetto allo scenario di base, mentre nel 2019 segnerebbe un +2,1%, inferiore al +3% dello scenario base. Anche il commercio mondiale rallenterebbe: al +4,2% nel 2018, anziché crescere del 5,2% come atteso. Considerando che gli scambi globali hanno chiuso il 2017 a quota 17.300 miliardi di dollari, significa che un anno di cura Trump potrebbe costare ai mercati fino a 173 miliardi di dollari.
Nonostante il brutto colpo sui dazi all’acciaio e all’alluminio di giovedì scorso, e nonostante la minaccia della Ue di procedere a contro-dazi per 2,8 miliardi di euro nella seconda metà di giugno, l’ipotesi dell’escalation su tutti i fronti, compreso quello del rinnovo del Nafta, resta ancora quella meno probabile. L’incertezza, però, è indubbio che sia in aumento.
Quali sono gli impatti dei dazi sull’Italia? Attualmente, quelli certi sono due. Il primo riguarda i dazi americani su acciaio e alluminio, che colpiranno 1,1 miliardi di euro di esportazioni italiane verso gli Usa. Il secondo riguarda la Russia, che dal 2014 ha messo sotto embargo diversi prodotti dell’agroalimentare europeo in risposta alle sanzioni economiche di Bruxelles per la crisi Ucraina: soltanto nel primo anno si stima che l’embargo sia costato 300 milioni di euro al made in Italy agroalimentare, pari al 28% di tutto l’export del comparto.
«A luglio l’Unione europea dovrà decidere se rinnovare o no le sanzioni alla Russia – ricorda Alessandro Terzulli, capo economista di Sace – ma nonostante la Germania e l’Italia si siano dette propense a cancellarle, è difficile aspettarsi che in un momento come questo la Ue riduca o elimini le sanzioni». Dunque anche l’embargo rimarrà, e ad esso andrà ad aggiungersi l’effetto indiretto delle sanzioni americane verso gli oligarchi di Mosca, che attraverso il principio dell’extraterritorialità potrebbero colpire qualunque Paese impegnato in progetti congiunti con la Russia. Per la verità, di effetti diretti della guerra dei dazi sugli scambi italiani ce n’è anche un terzo. La Cina, nel suo tentativo di dimostrare agli Usa la sua buona volontà, ad aprile ha annunciato che a partire dal 1° di luglio abbasserà dal 25% al 15% i dazi sulle importazioni di auto: una buona notizia per gli oltre 2 miliardi di euro di export italiano verso Pechino.
Poi, naturalmente, c’è tutto il capitolo degli impatti indiretti: «Il nostro rischio numero uno – spiega Terzulli – non sono i dazi, quanto la diminuzione della domanda mondiale dovuta a un’escalation dello scontro».
Anche l’ipotesi del ritorno delle sanzioni americane sull’Iran con valore extraterritoriale potrebbe minacciare i nostri 1,7 miliardi di esportazioni verso Teheran. Mentre l’uscita degli Usa dal Nafta, paradossalmente, per noi sarebbe un vantaggio: «Con l’accordo di libero scambio della Ue con il Canada già attivo e con l’intesa con il Messico che sta accelerando verso il testo definitivo – sostiene Terzulli – l’Italia potrebbe guadagnare interessanti quote di mercato».