Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  giugno 04 Lunedì calendario

Alle radici della crisi di due grandi decadute

Italia e Olanda sono forse le due Nazionali che hanno risentito di più del cambio d’epoca avvenuto alla fine del secolo scorso con la legge Bosman e lo sviluppo del metodo Sacchi. Non è un caso che adesso siano entrambe fuori dal Mondiale e molto indietro nel ranking Fifa, 19ª l’Olanda e ventesimi noi, cioè pronti per la serie B del mondo. L’Italia nel tempo è stata quasi tutto quello che non è stata l’Olanda, un lungo filo rosso, un maestro ruvido e insistente fin dai primi anni del calcio. Ha vinto molto di più, è stata una grande scuola che per un secolo ha insegnato sempre le stesse cose. L’Olanda è stata spinta nel grande calcio dai figli dei fiori, dal nuovo senso universale di qualunque vita, fosse il lavoro, la musica o lo sport. È stata una vera rivoluzione. Dagli anni 60 non c’è stata una buona squadra europea che non abbia avuto qualcosa di olandese. La perfezione anche per loro arrivò con i neri delle colonie sudamericane, i vari Gullit, Rijkaard, poi Seedorf e altre generazioni che aggiunsero alle possibilità naturali di corsa un forte accento tecnico. Le due crisi attuali di Italia e Olanda nascono da problemi molto diversi. L’Olanda è un paese esportatore di calcio. Per fare questo coltiva quasi solo giocatori ragazzi. Alla fine dell’adolescenza vanno a guadagnare. Questo ha abbassato la linea tecnica e disperso il movimento. È diventata una specie di ottima Accademia. Essendo un’organizzazione quattro volte più grande, l’Italia ha un dovere in più dell’Olanda, cercare di vincere. Così ha cominciato quasi soltanto ad allenare i giocatori, non più anche a insegnare calcio. C’è una grossa differenza. Gli olandesi sono merce da vendere, quindi curata nei fondamentali. Gli italiani sono al servizio del risultato ma non più dell’insegnamento, così facendo salvano dall’esonero qualche allenatore ma non sanno più giocare a calcio. Il risultato più evidente è che adesso entrambe hanno perso le loro tradizioni. Il calcio olandese è diventato una somma di individui. Quello italiano non ha più specializzazioni, né quella tattica né quella difensiva.