Corriere della Sera, 4 giugno 2018
Cala la fiducia degli italiani nella Ue ma solo uno su quattro ne uscirebbe
Le posizioni euroscettiche si caratterizzano per una forte critica all’Unione Europea e una conseguente opposizione al processo di integrazione politica. Per chi ha posizioni euroscettiche l’integrazione indebolisce gli Stati e l’Unione Europea viene percepita come antidemocratica ed eccessivamente burocratica.
L’indice di fiducia degli italiani nei confronti dell’Europa in sette anni si è dimezzato da quota 70 a 38 e anche restringendo l’osservazione agli ultimi quattro anni la discesa è stata comunque repentina: da 58 ai 38 di cui sopra. Ma una cosa è sentirsi delusi dalla Ue altro è desiderare di uscire dalla comunità o dall’euro. Il 55% degli italiani è, infatti, per restare nell’Europa contro un 25% che davanti a un eventuale referendum non avrebbe remore a preferire l’uscita. Se la consultazione popolare avesse come tema la presenza nell’euro il 49% sceglierebbe di voler restare contro un 29% pro-exit e un 22% di incerti. Sono questi i risultati di un sondaggio condotto negli ultimi giorni da Ipsos, l’istituto diretto da Nando Pagnoncelli, un sondaggio utile per fotografare l’euro-sentimento degli italiani al momento in cui si forma un nuovo governo scettico, se non addirittura ostile, verso Bruxelles. A questo proposito è interessante analizzare come si comporta l’elettorato dei partiti vincitori del 4 marzo. Solo un quarto di chi ha votato Lega ha fiducia nella Ue e grosso modo la stessa cifra la troviamo tra gli elettori dei 5 Stelle. I votanti di Forza Italia si dichiarano delusi per il 65%, percentuale non lontana da quella leghista. Restano euro-fedeli gli elettori del Pd: il 70%.
Se però dalla generica sfiducia verso Bruxelles si passa a decisioni politicamente vincolanti a seguito di un referendum persino il sovranismo leghista si stempera. Sull’euro voterebbe per uscire il 51% contro però un 32% che rimarrebbe nella moneta unica (e si può azzardare che questo dato possa riferirsi in primis agli imprenditori). In casa Cinque Stelle il referendum sull’euro provocherebbe una spaccatura verticale: il 40% sarebbe pro-exit contro un 39% favorevole a restare. Ancor più interessante il mood dell’elettore forzista: il 56% vuole restare nell’Eurozona contro un 32% favorevole all’uscita.
I dati Ipsos ci danno anche la possibilità di valutare l’orientamento degli italiani a fronte di un eventuale referendum sull’appartenenza alla Ue. Ebbene, 53 elettori dei 5 Stelle contro 30 sono per restare, idem 39 votanti della Lega contro però 43 che vorrebbero dire ciao a Bruxelles. Dentro Forza Italia 30 vorrebbero uscire contro 58 fedeli. Nel Pd si conferma l’orientamento decisamente europeista scandito da un remain all’88%. Messi tutti assieme questi dati ci suggeriscono l’idea di un sovranismo leghista intermittente e invece di un orientamento filo-comunitario ampiamente radicato tra gli elettori grillini. Per tutti vale la considerazione che l’effetto referendum raffredda i bollenti spiriti anti-europei e finisce per consigliare prudenza.
Non ci sono dati che ci permettano di segmentare per gruppi sociali quest’orientamento ma è significativo come la scorsa settimana dalle categorie produttive siano venuti segnali di preoccupazione dopo le indiscrezioni sul piano B del ministro Paolo Savona. A Nordest si è fatta sentire persino la Confartigianato veneta che per bocca del suo presidente Agostino Bonomo ha ricordato «come i nostri turisti sono tedeschi e il nostro primo partner commerciale è la Germania». Spiega Marco Gay, presidente di Anitec e Assinform, le associazioni confindustriali dell’high-tech: «Per noi il mercato domestico è quello europeo, da lì partono i percorsi di internazionalizzazione. Per questo spero che scenari di uscita dall’Europa non siano presi in considerazione dal nuovo governo. Non ne faccio un discorso di appartenenza politica ma sarebbe un non senso tornare ad operare con un’altra moneta e con i tassi di cambio». La differenza tra sfiducia verso la Ue e atteggiamento prudente sugli eventuali referendum, secondo l’economista di scuola Ocse Andrea Goldstein, «dipende dall’atteggiamento assunto da Bruxelles nel controllo delle migrazioni, gli elettori pensano che ci abbiano lasciati soli». Quando ci si deve pronunciare su eventuali conseguenze economiche «lo scetticismo si smussa in tutti i partiti, l’occhio va più prosaicamente ai mutui e ai tassi di interesse». Chiude l’economista Innocenzo Cipolletta: «Non dobbiamo dimenticare che l’Italia è un Paese di risparmiatori e così si spiega la schizofrenia rivelata dal sondaggio. Da elettore concedo consenso ai partiti populisti, da risparmiatore pur avendo votato Lega o Di Maio seguo comunque con trepidazione l’andamento dei titoli di Stato e decido di disfarmene».