La Stampa, 4 giugno 2018
«Ho sentito parlare i capodogli, la sfida è rispondere»
Quando lo scrittore americano James Nestor ha guardato sotto la superficie del blu non si è più fermato. Si è immerso nel profondo, incrociando apneisti, pescatori, ricercatori e ha scoperto quella parte di mare – e di sè – che non conosceva. Il suo viaggio è diventato un libro, Il respiro del profondo (Edt), che presenta in Italia (il 7 giugno a a Genova al Galata Museo del Mare; poi a Roma e all’Ulisse Fest di Rimini). Ed è diventato anche una missione. In Sri Lanka ha nuotato con i capodogli e li ha sentiti parlare: adesso non vede l’ora di rispondere..
Nestor, che si prova a sentire parlare i capodogli?«Sono gli animali più rumorosi del pianeta. Le loro vocalizzazioni, chiamate “click”, potrebbero far scoppiare i timpani e produrre nel corpo umano vibrazioni anche letali. I click sono così forti che li avverti nel torace, in testa. Tutto il corpo vibra, ti senti davvero molto piccolo. Prima di immergermi ero molto nervoso, sapevo bene che i capodogli avrebbero potuto inghiottirmi in un boccone, uccidermi bersagliandomi di click o farmi semplicemente soffocare. Ma quando mi sono tuffato e me li sono ritrovati davanti ho capito che esisteva un legame più profondo e naturale. I capodogli hanno il cervello più grande mai esistito, sei volte più grande del nostro. Possiedono una saggezza antica e un’intelligenza che gli esseri umani stanno appena iniziando a comprendere: quando nuoti con loro te ne rendi conto all’istante».Pensa che si possa davvero dialogare con loro?«Lo sviluppo dell’apprendimento automatico e dell’intelligenza artificiale aprirà le porte alla comunicazione tra le specie. Gli scienziati stanno già sbirciando nel linguaggio dei pipistrelli e in quello dei cani della prateria. Forse non abbiamo ancora gli strumenti per decifrare la comunicazione tra i cetacei, ma tra non molto li avremo. E sono convito che questo potrebbe cambiare profondamente la nostra percezione della vita». Lei è tra i promotori di una ricerca che si occupa di studiare i “click”.«Sì, collaboro con David Gruber, explorer del National Geographic e membro del Radcliffe Institute della Harvard University, in un progetto (Ceti) che ha lo scopo di registrare le comunicazioni tra i capodogli e decodificarle con dei programmi di apprendimento automatico. Abbiamo coinvolto alcuni dei più brillanti scienziati e ingegneri del settore e il prossimo anno organizzeremo una conferenza. Credo che decifrare il linguaggio dei capodogli non sia tanto un problema linguistico quanto una sfida nei campi dell’ingegneria e della codificazione, perciò stiamo prendendo una strada completamente diversa».Che pensa delle campagne per la tutela degli oceani?«Il mare e gli animali che lo abitano vorrebbero soltanto che noi esseri umani li lasciassimo in pace. Pensiamo a Palau o ad altri Paesi che hanno creato dei santuari marini sul loro territorio. L’equilibrio naturale si ripristina, e anche abbastanza in fretta. Non è difficile, ma gli uomini sono davvero miopi. Naturalmente qualsiasi sforzo si faccia per proteggere i mari è positivo, ma deve partire dai governi. Alcune iniziative private si rivelano talvolta molto opportunistiche: tante chiacchiere e poca azione. Le campagne secondo me più efficaci sono quelle che coinvolgono direttamente la politica o promuovono iniziative d’impatto».Scrive di essere stregato dall’apnea. Perché?«L’apnea rappresenta il modo più intimo per entrare in contatto con il mare e i suoi abitanti, e dovrebbe essere accessibile a tutti. È l’esperienza più pacificante che abbia mai fatto. Non è necessario immergersi a 100 metri : scendere a 5 metri è già un’esperienza incredibile. La vita viene dal mare e dentro continuiamo ad averne uno».