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 2018  giugno 04 Lunedì calendario

L’usato sicuro delle frasi fatte gialloverdi

«Lo Stato siamo noi», ha detto Luigi Di Maio e, santo cielo, se lo avesse sentito Jean-Jacques Rousseau. Quella frase, che declinata al singolare è «lo Stato sono io», attribuita al Re Sole e diventata nei secoli lo slogan dell’assolutismo monarchico, al vecchio Rousseau gli avrebbe fatto venire un colpo apoplettico. O forse, come tutti noi, ormai sarebbe abituato a questo frasario dell’ammazzacaffè, per cui salta su Danilo Toninelli e dice che vuole «creare uno Stato etico», categoria filosofica abbondantemente fraintesa, e nel fraintendimento molto amata dalle dittature: è lo Stato a separare il bene dal male. Ma, come ha già fatto notare Guido Vitiello sul Foglio, forse Toninelli voleva solo mettere in bella copia l’idea dell’onestà, dove il bene coincide con la fedina penale pulita. E nemmeno così è tanto rassicurante, fa venire in mente le luci bianche dei sotterranei della Lubjanka, o anche la dittatura della virtù di Maximilien de Robespierre. Ma con questo non si intende sostenere chissà che. Probabilmente Toninelli non conosce per la morale metri alternativi al casellario giudiziale, e difficilmente si può supporre che Di Maio progetti di traslocare a Versailles. Soltanto che fa un po’ impressione sentire cose così, che appartengono al disastro recente dell’uomo, pronunciate nella più giovanile inconsapevolezza. E probabilmente è peggio.
Il DuceMatteo Salvini, per esempio, ormai attinge dal massimario di Benito Mussolini. «Chi si ferma è perduto», ha detto nei giorni della trattativa coi cinque stelle. «Tanti nemici tanto onore», ha detto in polemica col fumettista Zerocalcare. Anni fa il portiere della Juve, Gianluigi Buffon, fu accusato di ricostituzione del Partito fascista, o giù di lì, per una maglietta con su scritto «boia chi molla». In fondo sono motti evoluti a modi di dire. Certe coincidenze sono più interessanti. «Le frontiere ci sono, si difendono» e «Le frontiere non si discutono, si difendono» sono due sentenze, una pronunciata dal capo leghista, l’altra dal capo fascista. Ecco il postulato del bravo oppositore: vietato affiancare i nuovi governanti al fascismo, è stato fatto troppe volte e a vanvera negli anni scorsi. Tenderemo a pensare che non è una riproposizione, che sono solamente spettacolari coincidenze, e tuttavia restituiscono un’idea di che cosa frulli nelle teste del bipartito al governo.Infatti, a proposito di spettacolari coincidenze, il lettore analizzi la frase: «Gli stati capitalisti utilizzano le menzogne, la truffa e il raggiro per negare ai loro popoli i diritti vitali più basilari e si preoccupano esclusivamente dei propri interessi finanziari». A chi appartiene? A Beppe Grillo, a Stalin, a Salvini o a Adolf Hitler? Difficile capirlo, vero? A Hitler. Walking deadO questa: «I gruppi industriali e finanziari nel loro folle egoismo ci temono e ci odiano come il peggior nemico». Di chi è? Di Salvini o di Mussolini? Del secondo. Valutate la differenza fra «il partito non è un circolo di discussioni» (Stalin) e «se qualcuno non si riconosce nel Movimento è liberissimo di andarsene» (Grillo). Attribuite la paternità di quest’altra: «Un movimento che si propone di rinnovare il mondo non serve all’attimo che passa ma al futuro». E di quest’altra: «Siamo costretti a pensare a un mondo nuovo. Dobbiamo riprogettare il mondo». Una è di Grillo e una di Hitler, accoppiate voi sentenza e sentenziante. Tracciate la differenza fra l’opinione che ha Grillo della stampa («I giornalisti sono servi dei partiti, sono i veri walking dead») e quella di Hitler («La cosiddetta stampa liberale è l’opera dei becchini del popolo»). Si potrebbe insistere a lungo, sull’idea di democrazia, di Parlamento, di nemico. Ci si accontenta di un suggerimento: andate su YouTube a vedere il video in cui il Duce, davanti al popolo plaudente, brucia alla fiamma dell’Altare della Patria un foglio con sopra l’ammontare del debito pubblico. E il bello è che tutte queste cose le rivediamo e le risentiamo, sotto forma di spaccio, al tempo nuovo della liberazione.