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 2018  giugno 04 Lunedì calendario

I selfie sono serial killer: ogni anno 170 morti sfidando orsi (e ridicolo)

Morire alla fiera delle vanità, andarsene per dire io c’ero, perdere la vita per fermare il tempo. Finita l’era del cercar la bella morte, sogno romantico della gioventù del Novecento, negli anni del Cambiamento si muore per farsi l’autoscatto. Pare sia questa la ragione, banale e mostruosa, della morte di Antonio Pittorru, ventiduenne di Calangianus, annegato nel lago di Como senza un perché. O meglio il perché, secondo le ipotesi degli inquirenti, ci sarebbe: voleva farsi una foto da postare sui social. Lo hanno visto salire sul parapetto del lungolago, davanti a Villa Geno, con il telefonino in mano, e poi sparire nell’acqua. Così come con il cellulare in una mano e l’altra a mostrare la «V» di vittoria, hanno beccato un giovane che il selfie se lo stava facendo sui binari della stazione di Piacenza dove una donna, a cui è stata amputata una gamba, era stata appena investita da un treno. La Polfer lo ha fermato e gli ha imposto, non senza discussioni e lamentele di cancellare l’immagine. Di più non hanno potuto fare: non è ancora reato essere un idiota.
Con l’avvento degli smartphone la Spoon river dei morti di selfie si è popolata come ai tempi della guerra regalando a quella che un tempo si chiamava la Nera Mietitrice, come se non bastassero quelli che ci sono già, uno strumento in più per toglierci dai piedi: ogni anno, sentenzia la statistica, 170 persone, quasi sempre ragazzi, muoiono per i selfie estremi. Da quello, un esercito in realtà, che si pianta sui binari aspettando l’arrivo del treno a quello che si sporge da dirupi, burroni e grattacieli; dal turista tedesco che cerca di catturare al volo lo skilift al ragazzotto messicano che si punta una pistola alla tempia per far colpo sugli amici. Peccato solo che partito il colpo di cui sopra non abbia avuto la soddisfazione di contare i like. Poi ci sono quelli che muoiono per i selfie e basta.
Negli Stati Uniti da decenni consegnano un Oscar alla memoria, il Darwin Awards, alle morti più scimunite dell’anno. Il motto è «la stupidità è un peccato mortale». L’ultima edizione, è il caso di dirlo, ha premiato Nitzia Corral e Clarissa Miranda, che, spettatrici di una corsa di cavalli vicino all’aeroporto a Chinipas, nel Messico settentrionale, hanno pensato di farsi un selfie panoramico piombando con un furgoncino sulla pista mentre stava atterrando un aereo. L’ala destra del velivolo ha tranciato di netto l’abitacolo mentre le due stavano in posa come Thelma e Louise. 
Ma dentro questa compilation c’è di tutto: coppie di sposi, gruppi di amici, madri di famiglia, campioni dello sport, militari in carriera, camionisti, ingegneri, uomini d’affari. Posseduti da fantasie narcise degne degli incubi di Freddy Kruger. Un trentenne indiano di Abhilash è morto mentre tentava di girare un video, protagonista se medesimo, in cui fingeva di impiccarsi: un ventunenne spagnolo, convinto che un treno fermo fosse meno pericoloso di uno in movimento, ha cercato di salire sopra un vagone calpestando un filo dell’alta tensione da 3.500 volt. Cercava in effetti emozioni elettrizzanti. Uno scozzese invece è stato travolto con il cellulare in mano su un’autostrada tedesca. James Crowlett è stato ucciso da uno squalo, Prabhu Bhatara da un orso, con il quale ha cercato di fotografarsi di ritorno da una festa di nozze, un altro sconosciuto, ma il filmato lo trovate su internet, ha cercato di immortalarsi, è il caso di dirlo, con un elefante in un Parco di Bangalore in India. Si può morire tante volte, si diceva in filosofia. Ma così mai...