Bologna ieri e oggi: a cosa fu dovuto il successo di Jack Frusciante? E cosa è cambiato dal 1994, anno d’uscita di quel romanzo?
ENRICO BRIZZI: «Io raccontavo quello che vedevo intorno a me. Quando ho incominciato a scrivere Pier Vittorio Tondelli era appena morto e Silvia Ballestra aveva fatto da poco Il compleanno dell’iguana (1991). Jack Frusciante uscì in duecento copie, cento a Bologna e cento ad Ancona ed ebbe un successo che nessuno avrebbe potuto prevedere: in quell’estate fecero quattordici edizioni! Questo anche grazie al fatto che l’Espresso dopo solo due settimane scrisse un articolo sul libro mentre Umberto Eco ne parlò ne La bustina di Minerva. Ai tempi la cosa più importante era andare al Maurizio Costanzo Show e lo facevi per aiutare la piccola casa editrice indipendente, perché di tuo a quell’età preferiresti andare a berti una birra con gli amici».
ALBERTO “BEBO” GUIDETTI: «Io, Albi e Checco (che oggi fa il ricercatore) eravamo in classe insieme all’Istituto tecnico. Nel ’94 eravamo dei “cinni”, andavamo al campetto a giocare a pallone e ascoltavamo la scena hip hop bolognese della seconda generazione. A scuola eravamo pesci fuor d’acqua e passavamo il tempo a scrivere canzoni».
«Poi abbiamo iniziato a frequentare vari collettivi e a fare una trasmissione su Radio Città Fujico che si intitolava Collettivo Studentz presenta».
LODO GUENZI:
«Io andavo al Galvani, il liceo classico che Enrico nei libri chiama il “Caimani”. Con loro e Carota ci siamo conosciuti per feste e cose di Movimento Studentesco».
Ma perché Jack Frusciante e non John? Tutti si chiedevano se era fatto apposta o era un errore...
BRIZZI: «No figuriamoci, io ero un nerd assoluto per la musica: l’ho cambiato perché l’editore era terrorizzato dall’idea che i Red Hot Chili Peppers gli facessero causa».
E il nuovo libro di cosa parla?
BRIZZI:
«È un romanzo di formazione di un ragazzo degli Anni 90 attraverso gli amici, la scuola, il tifo, la musica, la poltica, l’amicizia. Prima non ci ero mai tornato sopra proprio perché me lo chiedevano tutti. A un certo punto ti appare un bivio: “vuoi diventare famoso o vuoi fare lo scrittore?”. I miei miti erano tutti scrittori...».
A proposito: miti e riti dei vostri giorni bolognesi?
BRIZZI: «In quegli anni Bologna è cambiata tanto, hanno aperto il Tpo, il Link e il Livello 57: i centri sociali strabordavano di gente. In aggiunta c’era il Covo, lo stadio e la Fortitudo, la squadra di basket. E rigorosamente non la Virtus!».
LODO:
«Quando ero sbarbo andavo al Freedom in fondo a via dell’Inferno e lì prendevi le prime ciucche, qualcuno si faceva le canne e c’era il rito che... ti venivano a prendere i documenti. È stato il luogo dell’educazione sentimentale per molti di noi. Purtroppo è durato pochissimo».
Sentimentale o sessuale?
LODO: «Per me non molto sessuale. Ero un po’ rincoglionito, ma andava bene così. E poi c’è stato un momento dello Stato in cui andavamo di occupazione in occupazione».
Vi chiamavano a suonare?
LODO: «Non proprio. Eravamo noi che portavamo l’impianto e li obbligavamo ad ascoltarci. Il suono era un brusio indistinto ma facevamo molte cose strane e parlavamo tanto. Forse è stata la cosa migliore che abbiamo mai fatto».
Poi il successo. Come ha cambiato le vostre vite?
BRIZZI: «Una volta tornavo da un reading e di notte vedo uno che scarica la macchina: era Luca Carboni. Che mi guarda e mi fa: “Ma tu sei Enrico Brizzi?”. Lì ho capito che c’era qualcosa che non andava. Per questo, come dicevo, non ho mai fatto Jack Frusciante 2 e credo di aver fatto bene. Da lì ho iniziato a camminare: stare ore con un amico facendo fatica ti fa pensare meglio».
«Dopo Sanremo ho deciso di non andare in nessun “salotto televisivo” e di chiudermi invece in un teatro a fare Il giardino dei ciliegi di Cechov per non volare via come un palloncino di elio. La storia incrocia il testo classico con quella di uno sgombero che c’è stato qui a Bologna e due attori sono sgomberati veri. Mi sa che tra l’altro era una storia passata attraverso Wu Ming Contingent: ballotte allargate...».
Nel nuovo libro c’è una parte che parla degli ultras del Bologna...
BRIZZI: «Noi abitavamo di fianco allo stadio e io e mio fratello invece di guardare la tv guardavamo i tafferugli. Allora volavano botte da orbi, oggi è uno scherzo in confronto. Ai tempi mi vedevo tutte le partite in casa e mi facevo una quindicina di trasferte in curva. Gli ultras rappresentavano tutto quello che i genitori detestavano. E che affascinava un ragazzino perché gli dava un’illusione di indipendenza».
Nel libro di Brizzi e in molti vostri testi si parla della difficoltà dei rapporti. Anche in questo, come sono cambiate le cose da allora a oggi?
BRIZZI: « Rispetto al matrimonio monogamico dei nostri genitori c’era una maggiore ricerca e complessità. Figli, divorzi, costruzione di nuove famiglie e così via».
«Vivere nel precariato come accade ora porta al suo opposto: c’è una ricerca ossessiva di stabilità nei rapporti. Ma in realtà la magia è che non si sa cosa succederà, quindi è folle riversare tutta la propria ansia di controllo dentro le relazioni».
Che cos’è la libertà?
BRIZZI: «L’unico bene da non perdere. Ma a volte te la devi addirittura imporre».
LODO: «Una forma di entusiasmo nel sapere che tutto può finire. Magari sei anche molto solo. Magari hai molta paura. Ma hai anche l’entusiasmo all’idea di sapere che puoi andare incontro all’abisso. Sono riusciti a convincerci che un altro mondo non è possibile e che questa è la nostra prospettiva per sempre. La libertà che evochiamo nelle nostre canzoni è quella di riuscire a tenere una finestra aperta sul contatto più profondo che hai con te stesso, qualsiasi cosa succeda, successo o sfiga che sia».
Torniamo alla Bologna di oggi: il concerto in piazza Maggiore si farà o no?
ALBI: «Si farà e sarà una grande festa, il modo migliore di riabbracciare la nostra città. Siamo rimasti piuttosto perplessi di fronte a tutte le polemiche degli ultimi giorni ma al tempo stesso abbiamo tutti concordato sul fatto che non fosse una cosa di nostra competenza. È giusto che le istituzioni si confrontino e raggiungano delle decisioni in modo autonomo. Noi ci siamo limitati a scherzare chiedendo a Gianni Morandi, Nek e la Fondazione Lucio Dalla di sostenerci con dei messaggi...».
Ci sarà anche un tributo a Freak Antoni? Quanto è stato importante?
BRIZZI: «Ha lasciato un segno indelebile: non a caso siamo al bar Kinotto!».
BEBO: «La mattina del 12 giugno saremo all’inaugurazione della sua statua. E la sera succederà qualcosa che non possiamo ancora dire. Chi ci segue lo sa che a noi piacciono le sorprese, e anche in questo caso sarà così. Per noi Freak è stato un riferimento davvero importante, una di quelle figure che ci hanno reso quello che siamo oggi. Sarà un grande piacere poterlo omaggiare in qualche modo come abbiamo fatto anche a Sanremo sul palco durante la serata Ospiti portando il cartello “ovazione”».