la Repubblica, 3 giugno 2018
La società privata che diventò padrona dell’Altare della Patria
Come la fontana di Trevi nel film di Totò, si sono presi l’Altare della Patria. Hanno ottenuto senza alcun bando di gara il lato più suggestivo del complesso marmoreo più noto di Roma. I saloni espositivi dell’ala Brasini, meta di quasi mezzo milione di visitatori l’anno, sono gestiti da anni evitando ogni concorrenza. Non appena una società imbocca la via del tramonto, ce n’è un’altra pronta a usare il palcoscenico dell’Italia risorta per organizzare mostre, vendere libri e trasformare le relazioni culturali in affari. Ora però, a dargli guerra, è arrivato Francesco Paolo Tronca, il prefetto dell’Expo milanese già chiamato a traghettare il Campidoglio di Roma tra Ignazio Marino e Virginia Raggi. Lui, collezionista di cimeli garibaldini, è stato nominato commissario dell’Istituto del Risorgimento italiano nato per proteggere la storia dell’Unità e finito ad essere accusato di sprecare risorse pubbliche. Tronca da mesi cataloga busti, sciabole e bandiere tricolore sbiadite e arrotolate dietro la porta di uno sgabuzzino. E tra tante vestigia ha scoperto l’anomalia dei contratti per lo spazio museale, comunicando di non autorizzare il subentro di Arthemisia Museum nella gestione delle mostre.È il primo stop dopo una lunga storia. Comincia nel lontano marzo 1996 quando, in cambio di lavori di ristrutturazione, viene concesso l’utilizzo in esclusiva a Comunicare Organizzando. L’azienda appartiene all’imprenditore siciliano Alessandro Nicosia e a Maria Cristina Bettini, la cugina di Goffredo, il peso massimo della politica romana e uomo chiave del potere veltroniano. All’Istituto rimangono le migliorie, dagli impianti elettrici alla pulitura, e una percentuale dalla vendita dei biglietti che nel tempo varia dal 6 al 10 per cento. Di proroga in proroga, regnano incontrastati fino al 2015, poi passano la mano ad Arthemisia Group, che a sua volta vende la gestione per 400mila euro a un’altra Arthemisia, la Museum. Le società cambiano nome, ma a presiederle è sempre Iole Siena. Cresciuta negli spazi museali della Fondazione Roma di Emmanuele Emanuele è un’organizzatrice di mostre di successo, dal Giappone a New York dove la settimana prossima aprirà una nuova sede. Al suo fianco il secondo marito Mario Virgilio Paloschi, produttore di documentari culturali tv, già amministratore unico di un’altra Arthemisia, la srl, poi fallita. Un destino segnato: lo scorso novembre anche la Group chiede il concordato preventivo, nonostante l’anno prima abbia un fatturato da oltre 15 milioni. «Il motivo è il contenzioso con un’altra azienda italiana che ci deve diversi milioni di euro. A breve ci sarà la prima udienza e in attesa di un chiarimento abbiamo deciso di congelare le attività. Tutte le altre società vanno avanti bene» spiega Siena. La caduta è determinata dalle co- produzioni con Sole 24 Ore Cultura eppure l’ex ad Natalina Costa, dopo aver lasciato la sede del giornale nel 2016, appare oggi ai tavoli delle riunioni sindacali in rappresentanza proprio di Iole Siena e del un suo partner spagnolo. Per Tronca però la staffetta tra le due società è inaccettabile. La convenzione fin dall’origine è «nulla perché avvenuta in violazione della normativa» e anche il passaggio dal tandem Nicosia- Bettini a Siena è «contrario alla legge». Dello stesso parere il ministero dei Beni Culturali: «Tutti gli atti in questione siano da considerarsi illegittimi», perché come spiega l’avvocatura dello Stato: «Non c’è stato un procedimento di evidenza pubblica».Siena sottolinea invece la correttezza del suo operato: «Non c’è nessun atto giuridico che supporti le dichiarazioni di Tronca», pur ammettendo che «la strada dovrebbe essere quella della gara, a cui siamo pronti a partecipare».Nel frattempo però, nonostante Arthemisia possa gestire l’ala Brasini fino a dicembre 2018, per evitare lo sfratto propone una mostra di Jackson Pollock. La durata? Fino al 3 marzo 2019. Tra scadenze e acquisti di rami d’azienda spunta anche un contratto per esporre i capolavori del maestro Fernando Botero firmato da un’altra società, la Exibit, che non ha alcuna convenzione con il Vittoriano. Singolare poi che Fabio Russo, il liquidatore di Comunicare Organizzando, anche quella ormai ai titoli di coda, sia il segretario e consigliere di Arthemisia. Russo ha uno studio nel quartiere romano Prati, in un bel palazzo di via Nicotera, e risponde allo stesso numero di fax di Roberto Monticelli, il commercialista che si occupava della gestione dell’Istituto del Risorgimento prima che fosse commissariato. Tra le anomalie balzate agli occhi di Tronca, c’è anche il mancato pagamento dell’Iva: un conto da oltre 400 mila euro.Così, in attesa di una decisione definitiva sulla nullità della convenzione e sulla disinvolta gestione dell’istituto storico, il simbolo dell’Unità rimane imprigionato tra carte bollate e ricorsi.