il Fatto Quotidiano, 3 giugno 2018
De Palma farà un film su Weinstein
Da Dio (copyright Meryl Streep) a inchiostro, da produttore a soggetto: Harvey Weinstein diventerà lui il film. Dopo essersi fatto mezza – stiamo bassi – Hollywood, Hollywood si farà lui: la prigione (rischia 25 anni) può attendere, la pena del contrappasso passerà dal copione. Con una residua speranza per lo stesso Harvey Mani di Forbice: che dopo aver messo lo zampino in venti titoli nominati all’Oscar, da Pulp Fiction del 1994 a Lion del 2016, di cui cinque vittoriosi (Il paziente inglese, Shakespeare in Love, Chicago, Il Signore degli Anelli – Il ritorno del re e Il discorso del re), possa ritrovare gloria presso quell’Academy che l’ha espulso con ignominia. Non più in carne, ossa, smoking e titoli di testa, s’intende, bensì quale corpo del reato e lupus – meglio, porco – in fabula. Film, pièce e serie in cantiere: Weinstein è la pietra dello scandalo, l’incipit dello script, e nessuno oggi sembra poterne fare a meno.
Buon ultimo, Brian De Palma: il cineasta di Carrie e Scarface sta scrivendo un horror su Harvey, fresco accusato – lui ha negato – di stupro e altri abusi sessuali a New York. Molte persone coinvolte nella sua agenda e tante storie al riguardo ascoltate per anni, De Palma oggi sostiene che “violare la fiducia e l’amore degli attori, per voracità o lussuria, è la cosa peggiore che un regista possa fare”. Però, e non è particolare da poco, “il mio personaggio non si chiamerà Harvey Weinstein”. Finalizzazione sul tavolo di un produttore francese, “sarà un horror – ha dichiarato a Le Parisien – con un aggressore sessuale ambientato nell’industria del cinema”.
Per punire (un altro dei suoi nickname) The Punisher lavora anche Brad Pitt, che già nel 1995 minacciò di uccidere Weinstein se avesse nuovamente molestato la sua fidanzata dell’epoca, Gwyneth Paltrow. Tramite la sua casa Plan B in sinergia con Annapurna, ha messo nel mirino uno Spotlight o, se preferite, un Tutti gli uomini del presidente sul caso: focus giornalistico, come hanno lavorato le reporter Jodi Kantor e Megan Twohey (e l’editor Rebecca Corbett), un team tutto femminile del New York Times, per confezionare l’inchiesta che ha schiantato Hollywood? Dalla loro già un Pulitzer, ora potrebbe seguire l’Oscar.
Lo spettacolo teatrale ha firma altrettanto illustre: David Mamet. Titolo provvisorio Bitter Wheat, il drammaturgo ha trattato il sexual harrassament nella pièce Oleanna (1992), ma stavolta l’urgenza è familiare: “Ho tante figlie e un figlio piccolo. Ogni società deve fare i conti con l’ingovernabile sessualità e ci prova in tanti modi, ma nessuno sembra funzionare davvero bene”.
Nell’attesa che Asia Argento e Rose McGowan licenzino il memoir a quattro mani, e dunque il più che probabile adattamento, Weinstein avrà pure trattamento seriale: lo showrunner delle antologiche American Horror Story e American Crime Story, Ryan Murphy, dedicherà il prossimo Consent, presumibilmente targato Netflix, ai molestatori sessuali, quali – rumors – Weinstein e Kevin Spacey.