Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  giugno 03 Domenica calendario

Alce Nero avrai il mio burger (comodamente e a domicilio)

Cosa unisce la pizza pop di Berberè, il marchio di prodotti bio per eccellenza Alce Nero e Deliveroo, una delle aziende della gig economy, l’economia che si regge su prestazioni occasionali, pagate a cottimo e senza vincoli contrattuali? A unire i tasselli ci ha pensato Wolf Bukowski, scrittore, guest blogger del sito dei Wu Ming, Giap, sul quale ha pubblicato un’inchiesta in due puntate “Radio Alice è senz’altro anche il nome di una pizzeria: il capitale e il settantasette”. Cosa c’entra la storica emittente radiofonica bolognese degli Anni settanta? “Radio Alice – ci racconta Wolf Bukowsky – è il marchio scelto da Berberè per le sue pizzerie a Londra. Questa scelta, ovviamente, ha infastidito chi ha memoria ‘partigiana’ del ’77. Ho usato questa vicenda per raccontare i passaggi simbolici e materiali con cui il capitalismo si intesta nomi e parole dei movimenti anticapitalistici. Avrei potuto scegliere altri esempi, come la catena olandese ‘The Student Hotel’, che aprirà a Roma San Lorenzo, a Bologna e Firenze, ammiccando a ‘tutte le forme di avanguardie artistiche ribelli’, ai graffiti… ma costruendo studentati per ricchi con funzione gentrificante.
Ben presto ai fratelli Aloe (fondatori di Berberè) si unisce Alce Nero con una quota del 49%. Insieme aprono una pizzeria in zona universitaria bolognese ma dopo soli 4 anni Lucio Cavazzoni, ai tempi presidente, esce dalla gestione di quel locale (anche se Alce Nero resta socio di Berberè). Perché?
L’uscita di Cavazzoni dalla gestione di quel locale, che secondo me è dovuta a valutazioni aziendali, è l’occasione per una polemichetta pretestuosa sulla zona universitaria, a cui subito gli amministratori del Pd si accodano. Gli studenti che bevono birre a poco prezzo in strada fanno “degrado”, sostiene Cavazzoni, ma come si può conciliare questo pensiero reazionario con l’uso del ’77 studentesco? Solo facendo del ’77 un feticcio sottratto alla storia, rendendolo, appunto, solo un “trade mark”.

Nel frattempo gli affari di Berberè e Alce Nero continuano: con l’apertura delle due pizzerie londinesi battezzate “Radio Alice” viene anche registrato il marchio da parte di “8 slices limited” come le 8 fette in cui viene tagliata la pizza prima di essere servita. Chi c’è in questa joint venture?

In “8 slices”, che detiene il marchio “Radio Alice”, Berberè ha una quota di minoranza e viene retribuita per la gestione delle pizzerie. La maggioranza è di un certo Azzurri Group, che gestisce 278 locali e a sua volta è posseduto da Bridgepoint, un enorme gruppo che detiene, per fare un esempio, il marchio di Burger King in Gran Bretagna. Il cosiddetto “made in Italy”, con tutta la retorica che si porta dietro, è spesso semplicemente questo: affari di grosse società finanziarie come Bridgepoint.
Nel portafoglio di Bridgepoint group compare anche Roofoods ltd, un nome che ai più non dirà molto.
Roofoods è nota con il nome del suo servizio: Deliveroo. Tra Azzurri group e Deliveroo c’è una partnership particolare; quindi Berberè, di cui è parte anche Alce Nero, è socia in Gran Bretagna di aziende con forti nessi proprietari e di collaborazione con Deliveroo.
Cavazzoni si dimette dalla sua carica di presidente di Alce Nero nel febbraio del 2018 per candidarsi, senza successo, con Liberi e Uguali. LeU durante la campagna elettorale chiedeva l’abolizione dei lavori a cottimo, come è quello dei “riders” che consegnano il cibo. Un cortocircuito?
Le liberalizzazioni volute da Pier Luigi Bersani, ministro e poi fondatore di LeU, portano la responsabilità dell’assalto dei grandi gruppi alle piccole attività commerciali, dell’invasione dei supermercati, della concorrenza spietata nel settore della ristorazione. Anche i problemi legati alla “movida”, di cui si lamentava Cavazzoni stesso, sono causati dalle liberalizzazioni delle licenze. Quella di LeU è coerenza nell’ipocrisia, non cortocircuito.
Il Pd quando ebbe l’occasione, durante la discussione sul Jobs Act degli autonomi, di garantire i diritti dei fattorini decise invece di snobbare un emendamento ad hoc a firma di Sinistra Italiana. Oggi Virginio Merola, sindaco di Bologna del PD, invita al boicottaggio di Deliveroo e le altre aziende di cibo a domicilio.
Tipico del Pd: non dare fastidio alle grandi aziende ma ammiccare alle azioni “dal basso” riciclando lo stile del consumo critico. Hanno scelto di non rivolgersi ai “cittadini” (che avrebbero diritto a una legge contro il cottimo) ma solo ai “consumatori”. Una scelta, si direbbe, che non li premia granché.