La Lettura, 3 giugno 2018
Senza migranti aziende e famiglie soffrirebbero
Che cosa possiamo dire alle persone che non sopportano gli immigrati, che quando parlano di loro perdono la calma, si indignano, imprecano, attribuiscono ai nuovi arrivati tutti i mali del mondo? Appellarsi al dovere di solidarietà verso i più deboli e bisognosi non serve. Più utile è ripetere ancora una volta che l’immigrazione è una risorsa. Lo è stata, nei Paesi dell’Europa centro-settentrionale, negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, durante una fase di rapido sviluppo economico, quando milioni di immigrati occuparono i posti di lavoro creati dall’industria o lasciati liberi degli autoctoni. È indubbio, infatti, che se milioni di persone non si fossero trasferite in Svizzera, in Germania, in Francia, in Belgio, nel Regno Unito, la straordinaria crescita del Pil che ebbe luogo non vi sarebbe stata. Ma è stata una risorsa anche (per l’Italia: lo è diventata) dopo la crisi petrolifera del 1973, nonostante la situazione del mercato del lavoro sia peggiorata e si sia passati, secondo uno schema proposto da alcuni studiosi, da un’immigrazione principalmente da domanda, causata da fattori di attrazione (del Paese di destinazione), a una prevalentemente da offerta, provocata da fattori di spinta (dal Paese di partenza).
Numerosi sono i fatti che mostrano come l’immigrazione sia da tempo, in Italia, una preziosa risorsa, ma qui ne ricorderò tre. Il primo è di ordine demografico. La forte caduta della fecondità, insieme all’allungamento della vita media, in corso da molti decenni, hanno modificato profondamente la struttura per età della popolazione residente. È aumentata considerevolmente la quota di quella anziana o molto anziana (al di sopra di 65 o di 80 anni), mentre è diminuita quella giovane (al di sotto dei 15 anni) e questo ha fatto nascere nuovi problemi economici e sociali. Per loro natura, i processi migratori possono contribuire, e hanno in effetti contribuito, ad attenuare (ma non certo ad annullare) gli effetti distorsivi di queste tendenze. Considerati dai demografi delle «nascite tardive», i migranti portano nel Paese di arrivo persone in età riproduttiva ed economicamente produttiva. Mitigano dunque la diminuzione del tasso di fecondità e la caduta della popolazione in età da lavoro.
Il secondo fatto è di carattere economico e riguarda il sistema pensionistico. In un’audizione alla commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza del nostro Paese, il presidente dell’Inps, Tito Boeri, ha sostenuto che gli immigrati regolari versano ogni anno 8 miliardi in contributi sociali e ne ricevono 3 in termini di pensioni e di altre prestazioni sociali, con un saldo netto di 5 miliardi per le casse dell’Inps.
Il terzo fatto è di ordine sociale e riguarda i rapporti parentali, in particolare quelli verticali, fra genitori anziani e figli adulti. Il nostro Paese gode da secoli di un’altra risorsa: una famiglia a legami forti, caratterizzata da aiuti di ogni tipo fra coloro che ne fanno parte. La crescita del numero di divorzi e del tasso di attività della popolazione femminile avrebbe potuto mettere definitivamente in crisi questo modello di vita domestica, se non vi fosse stata una forte immigrazione di donne, in particolare dall’Europa orientale, che ha creato un’offerta sovrabbondante di badanti e baby sitter a basso costo e alta flessibilità. Così, la risorsa immigrazione sta proteggendo la risorsa famiglia, consentendo alle figlie e alle nuore di anziani in difficoltà di non trasferirli in un ricovero o in una residenza sanitaria assistenziale senza dover per questo rinunciare a svolgere un’attività extradomestica.
Dobbiamo tuttavia riconoscere che la ripetizione di queste e di altre argomentazioni, avvenuta innumerevoli volte negli ultimi dieci o quindici anni, non è servita a convincere le persone con un atteggiamento diffidente se non ostile verso gli immigrati. Tutte le informazioni di cui disponiamo (e fra queste l’esito delle elezioni del 4 marzo) fanno invece pensare che il numero di queste persone sia aumentato e la loro ostilità si sia accentuata. Certo, la forza persuasiva delle tre argomentazioni è molto diversa. Le prime due sono piuttosto astratte e riguardano i benefici che il sistema economico e sociale nel suo complesso può ricavare dall’immigrazione. Ma la terza è assai più vicina all’esperienza quotidiana degli italiani e ha mostrato concretamente a molti di loro quanti vantaggi possono ricavare dall’arrivo di migliaia di donne dall’Europa orientale.
Perché allora neppure questo è bastato a contenere l’ostilità nei confronti degli immigrati? Il ricorso alla categoria di razzismo, così frequente nella polemica politica, non ci aiuta a capire che cosa sta succedendo. L’interpretazione più adeguata si basa sull’idea che non basta godere di una risorsa, per quanto preziosa questa sia: è necessario anche saperne fare buon uso. La storia del Novecento ci insegna che vi sono stati Paesi con un sottosuolo ricchissimo che hanno avuto uno sviluppo economico lento e discontinuo. Lo stesso può verificarsi per le risorse umane. Una parte degli italiani si sono convinti con il tempo, in base soprattutto alle esperienze quotidiane ma anche alle informazioni ricevute dai media, che i nuovi arrivati siano per loro principalmente fonte di problemi. Alcuni sono arrivati a questa conclusione partendo dall’esperienza dei figli che frequentano scuole con una forte concentrazione di immigrati di seconda generazione o dall’impressione che i servizi di pronto soccorso ospedaliero siano diventati sempre meno efficienti per la crescente presenza di immigrati. Altri perché vedono frequentemente, per le strade della loro città, immigrati (irregolari) che spacciano sostanze stupefacenti o perché hanno subito un borseggio o un furto in appartamento.
La situazione è peggiorata dopo il 2013 con il rapido aumento del numero dei profughi, quando molti italiani hanno iniziato a chiedersi perché i nuovi arrivati attendano per mesi, inattivi, il riconoscimento.