Il Sole 24 Ore, 3 giugno 2018
Quel che resta di Gutenberg
Tre anni e mezzo prima di essere eletto papa, diventando Pio II, Enea Silvio Piccolomini, è inviato alla Dieta di Francoforte. Il 12 marzo 1455 scrive una lettera al cardinale Carvajal: gli racconta che nella città tedesca ha appena visto un uomo «mirabile» che vende delle Bibbie. «Non vidi Biblias integras sed quinterniones» (cioè fascicoli) precisa, e riporta – fatto davvero eccezionale –, che questo signore ne avrebbe preparate ben 158 copie, anzi, forse 180, secondo altre testimonianze che gli sono state riferite. Le bibbie in questione, inoltre, hanno il pregio di essere scritte con «mundissime ac correctissime littere», cioè nitide e corrette, senza errori, e si possono leggere anche senza occhiali. Ma la vera meraviglia è un’altra ed è una novità che cambierà il corso della civiltà occidentale, anche se questo Piccolomini non lo può sapere o magari, chissà, lo intuisce solo: non si tratta di libri ricopiati a mano, come si era fatto fino a quel momento, e per millenni. Sono prodotte, per la prima volta, grazie a un’invenzione prodigiosa: la stampa a caratteri mobili.
Piccolomini non conosce il nome di questo signore “miracoloso” che vende le Bibbie, ma, pochi mesi dopo, ecco una nuova traccia di lui. Il 6 novembre 1455 il notaio imperiale Ulrico Helmasperger trascrive un caso legale che mette contro due cittadini di Magonza (Mainz): due gentiluomini coinvolti in quello che l’estensore definisce il «lavoro dei libri» («der werck der bücher»): da una parte il capitalista Johan Fust, che ha prestato i soldi – e che si avvale, per l’accusa, tra gli altri, anche della testimonianza di un calligrafo, Peter Schoeffer –, dall’altra un tale Johannes Gensfleisch zum Gutenberg. Fust, stando alla nota di Helmasperger, richiede il ripianamento del prestito, con gli interessi, che ha fatto anni addietro al Gutenberg, oltre duemila gulden, una cifra considerevole. I protagonisti di questa magnifica storia, ora, ci sono tutti. I libri – le Bibbie –, prima di tutto (le uniche cose che resteranno); uno stampatore che ha elaborato e testato una soluzione mai escogitata prima per produrli, e cioè il signor Gutenberg; e un finanziatore (già un editore?) che vuole rifarsi dell’investimento. Eppure il successo di quelle bibbie sarà indubbio, dal punto di vista commerciale – e lo stesso Piccolomini scrive che erano andate vendute praticamente tutte. E figuriamoci dal punto di vista storico e culturale: un evento epocale. Da Magonza la stampa, in pochi anni, avrebbe dilagato sul continente europeo. A partire dal 1462 – quando vedrà la luce una seconda bibbia, importantissima, e spesso ritenuta precedente a quella di Gutenberg, cioè quella di Fust e Schoeffer (poi quindi divenuti soci editori e stampatori, appunto!) –, e prima della fine del secolo, vi erano stampatori in almeno 240 città europee, e sarebbero state stampate almeno 28mila differenti edizioni, per un totale di circa dieci milioni di copie! Un successo incredibile, un mondo nuovo, una tecnologia intramontata.
Eppure, quella mitica, prima, Bibbia dalle 42 righe stampata dal nostro Gutenberg nel 1450-55, prendeva, ben presto, la strada dell’oblio, tanto che ne venne messa in discussione addirittura l’esistenza: per secoli (!) quel libro sarebbe stato un’araba fenice. Chi lo avrebbe detto. E come strano ci sembra, a noi, che oggi siamo certi del primato di Gutenberg, che la storia abbia preso quel corso. Habent sua fata libelli, diceva qualcuno.
Che fine avevano fatto, dunque, i primi libri stampati della storia? E dire che non erano proprio “invisibili”, non proprio libelli.
Stampati su carta (proveniente, è accertato, dal Piemonte, arrivata in invii e partite successive, provate da differenti filigrane, a dorso di mulo in Germania), o su pergamena (per una bibbia anche 6000 pelli di agnello), le bibbie di Gutenberg erano dei bei libroni: formato “Royal folio” (307 x 445 mm), 1279 pagine stampate, divise in uno o due tomi (alla fine dei Salmi), una pagina stampata al giorno, quasi tre anni di lavoro per completare l’opera (un buon amanuense avrebbe prodotto una bibbia in due anni, qui erano almeno 150!), carattere tutto nuovo, ovviamente, il textura, grandi iniziali colorate, forse 3 o 4 presse usate e chissà quanti lavoranti. Testo su due colonne, inchiostro nero e rosso ben distribuito: per essere il primo libro stampato della storia, Gutenberg aveva trovato un design praticamente perfetto! L’ “oggetto libro” nasceva di botto, con un sogno. Ma, come nei sogni, i contorni della storia si fanno improvvisamente opachi.
E ora, Eric Marshall White, un eccellente bibliologo americano di Princeton, ha appena pubblicato un libro, Editio Princeps. A History of the Gutenberg Bible (Harvey Miller Publishers-Brepols, pagg. 466, € 120,00) davvero esaustivo, che aggiorna e ricapitola questa incredibile avventura, andando alla caccia di ogni singola opera pervenutaci (ragionevolmente complete ce ne sono 48, 36 di carta, 12 di pergamena), ma anche dei singoli fogli superstiti, spesso usati per rilegare altri libri o finiti, venduti uno per uno, nel mercato antiquario.
Dunque il nome di Gutenberg e il suo libro ri-emergono alla Storia solo a partire dalla fine del Settecento. Pare un destino assurdo, eppure della prima editio princeps (così si chiama la prima edizione a stampa di un testo, e a maggior ragione di questa bibbia che contiene il testo della Vulgata di san Gerolamo), si fatica a rintracciarne presenza, storia, titoli bibliograficamente nobiliari. I bibliografi però sono gente dotata di acribìa (parola che ci arriva dall’uso tedesco di akribìe, e questa è una storia molto tedesca) e si scatenano, e finalmente individuano qui e là – quasi sempre a insaputa l’uno dell’altro – in quella Bibbia a 42 righe – ma ci sono pagine anche con 40 e 41, Gutenberg decise di aggiungere due righe in corso d’opera per risparmiare carta (già allora...) – il più antico libro stampato della storia.
Il primo sarà Christoph Hendreich: capisce che la copia in pergamena che esamina, oggi a Berlino, è una delle Gutenberg (i nazisti se ne ricorderanno: nel 1936 quella copia sarà esposta nella mostra «Deutschland» come tesoro nazionale). Poi ecco quelle oggi a Aschaffenburg, Washington, Parigi (pergamena, alla nazionale), Parigi Mazarina, Lille, British Library, Gottinga eccetera. Di grande importanza è la copia parigina su carta della Biblioteca nazionale, identificata già nel 1789. Perché, in quella copia, un’iscrizione del miniaturista Heinrich Cremer attesta, senza equivoci, che il libro era stato finito (cioè stampato, miniato e rilegato) il 24 agosto 1456, festa di san Bartolomeo: è il segnale “bibliografico” che taglia la testa al toro: la bibbia di Gutenberg è davvero il primo libro stampato, alla faccia del duo Fust e Schoeffer (e la loro bibbia con 36 righe).
Ma non basta ancora. Infatti l’eccezionale “caccia al libro” di Eric White contempla non solo la storia delle proprietà, dei passaggi di mano e la provenienza di ogni singola copia, ma dedica spazio persino ai fogli sciolti, ai gruppi, ai lacerti, alle interpolazioni, e financo alle cosiddette copie “fantasma” (cioè attestate e poi magari disperse, le dubbie e così via), tra cui una censita a Cinisello Balsamo nel catalogo della biblioteca di Ercole Silva: edizione in due volumi della bibbia latina «indubitatamente» uguale a quella descritta dalla Cronaca di Colonia del 1499; una segnalata a Milano nella collezione del conte Carlo Pertusati che aveva le “prime tre bibbie” (1455 circa, 1462 e 1472; ma solo le ultime due passeranno alla Braidense). L’ultimo “ritrovamento” è del settembre 2017, ad Augusta. Un pezzo di pergamena che fu usato per “foderare” un libro di analisi logica. L’ennesima lezione che ci arriva da una vicenda che ha saputo riservare emozioni, colpi di scena, ritrovamenti e dispersioni. E che non è ancora finita, come non è finita la storia del libro, strumento principe e insostituibile del nostro essere umani. La cui genesi parte da un creatore chiamato Gutenberg e la cui apocalisse (digitale) ci sembra, per fortuna, molto di là da venire.