Il Messaggero, 3 giugno 2018
La nuova vita di Byron Moreno «Ora insegno come si arbitra»
Anche il più saggio degli arbitri non sarà sfuggito a uno spernacchiante cornuto! gridato dagli spalti, è una legge antica del calcio, ben compendiata fin dagli anni Ottanta da Oronzo Canà, l’allenatore nel pallone di Lino Banfi: l’arbitro è cornuto, punto. Come dire, a prescindere. Eppure nella storia recente del nostro Paese ce n’è uno, di fischietto, che più di tutti ha incarnato il personaggio del giudice maledetto e traditore, così conosciuto, nell’infamia, da diventare una macchietta nazional-popolare capace di cancellare le divisioni campanilistiche tipiche del calcio nostrano. Dici Byron Moreno e la mente corre subito all’estate afosa del 2002, Corea-Italia, lo stadio strapieno di Daejeon nei nostri televisori, l’acqua santa di Trapattoni che nulla può contro quel diavolo ecuadoregno in divisa nera: il gol negato a Tommasi, il rigore regalato agli asiatici che ospitavano il mondiale (parato da Buffon), l’espulsione di Totti, una ridda di falli ai nostri mai fischiati, la beffa finale al golden goal. Aveva un bidone della spazzatura al posto del cuore? «Non rinnego nulla di quello che ho fatto in Italia-Corea», dice oggi al Messaggero Byron Aldemar Moreno Ruales. Parla a casa sua, dall’altro capo del mondo, a Quito, dove non ha smesso di arbitrare, nonostante diverse sospensioni rimediate nel corso degli anni e perfino un arresto per droga negli Stati Uniti.
Una bella carriera, no? In patria, evidentemente, la fama non lo precede o comunque non le danno troppo peso se è vero che questo arbitro così contestato, forse uno dei più controversi della storia del pallone, oggi si guadagna da vivere come... insegnante per giovani arbitri. Su internet gira un volantino che pubblicizza questa escuela formativa – «posti limitati!», c’è scritto e per pubblicizzarla hanno pensato all’immagine di Moreno che scorrazza sul prato proprio durante Italia-Corea, mentre Vieri e Maldini lo rincorrono inviperiti. È talmente paradossale da sembrare una fake news, invece lui, Byron, ci dice che è tutto vero. «Sì, la scuola esiste e io sono l’istruttore. In queste settimane sono stato impegnato in un seminario organizzato dalle federazioni parrocchiali e di quartiere. Ci si occupa della formazione degli arbitri e di come è cambiato il mestiere nel calcio moderno». E che cosa insegna, lui? «Le regole del calcio, la tecnica arbitrale, la psicologia sportiva e l’assistenza medica». Magari sarà solo marketing, ma Moreno ci fa capire che i suoi corsi stanno facendo il pienone. «Si iscrive gente di tutte le età, ragazzi, ma anche dirigenti, calciatori. Tutti possono avere bisogno di aggiornamento. Io per primo, che continuo ad arbitrare».
«HASTA LA MUERTE»La cosa stupisce perché negli ultimi anni Moreno ha subito una sfilza di interdizioni, rimbalzate anche sulla stampa europea. Da quindici anni non è più arbitro della Fifa, in Ecuador lo hanno sospeso nel 2003 con l’accusa di avere combinato diverse partite, a favore della squadra della città in cui ha provato, senza successo, a candidarsi. «Ma sono stato riabilitato dopo poco tempo dice lui si sono accorti che era un errore. Ancora oggi faccio l’arbitro per alcuni tornei istituzionali. La verità? Sarò arbitro hasta la muerte, fino alla morte. E poi c’è il mio lavoro nella scuola, a cui tengo molto». E c’è anche una trasmissione radio piuttosto popolare, nel suo Paese, che si intitola el pito (cioè il fischio) de Byron, e lo tiene occupato tutta la settimana.
Del suo arresto per droga nel 2010 lo bloccarono con diversi chili di eroina all’aeroporto JFK di New York non ha voglia di parlare, «magari più tardi», dice, ma poi non risponde mai. In ogni caso, fa capire, è acqua passata, è stato scarcerato nel 2012 per buona condotta e da quel momento è tornato in Ecuador. Dall’altra parte dell’oceano segue la nostra Champions League, spizza il calcio italiano e anche la Roma. «I rigori negati in semifinale contro il Liverpool? C’erano tutti e due, li ho visti. La mano soprattutto, era proprio clara». E se lo dice lui.