La Stampa, 2 giugno 2018
I segreti di Yves Saint Laurent
Erano trascorsi appena due mesi dal commosso addio alla moda di Yves Saint Laurent. Marianne Vic, sua nipote, e la nonna, Lucienne, la madre dello stilista, si dettero appuntamento per pranzo al Plaza Athénée. Lei, Madame Saint Laurent, arrivò con il suo brushing perfetto, troppa cipria sul viso, troppo rosse le unghie delle mani. Parlava a voce alta, una mediterranea: francese d’Algeria, li chiamano pieds-noirs. Marianne, discreta, gli stessi occhi di un blu limpido di Yves, stessa grazia fragile, ma luminosa, ascoltava, come sempre.
Sconcertante rivelazione. Era il 25 marzo 2002. Fu al momento del caffè. Lucienne glielo confessò. Che sua madre, la bisnonna di Marianne, era stata stuprata nel loro paesino di coloni francesi, nell’Algeria profonda. Che lei, Lucienne, era il frutto di quella violenza, relegata nella casa di una balia, fino ai 5 anni di vita. Per poi integrarsi di nuovo alla famiglia. Sua mamma, nel frattempo, si era sposata con un belga e aveva avuto altri due figli. Lucienne sarebbe rimasta quella di seconda classe. Che d’improvviso, all’ora della siesta, cominciò a essere stuprata dal patrigno. Lucienne raccontava, ma non piangeva.«Ancora oggi non so perché abbia deciso di rivelarmi quel segreto e quel giorno, a me e a me soltanto – racconta Marianne -. Forse si è detta che ero meno fragile dei suoi figli, che potevo ascoltare quella storia e farne qualcosa. Non è stato subito: ne ero incapace». Aveva una famiglia, due figli e un divorzio da affrontare in quel momento. Poi Yves e la sorella Brigitte, madre di Marianne, lo stesso mal di vivere dello stilista, erano ancora vivi. Ed erano troppo deboli per sapere. Lui se ne è andato nel 2008, la nonna nel 2010 e la mamma nel 2015. Marianne, nel frattempo diventata una scrittrice, ha deciso di raccontarla quella storia, in un libro sorprendente, appena uscito per Fayard, dal titolo Niente di quello che è umano è vergognoso. Pagine di verità Sopra c’è stampigliato «romanzo», «ma è tutto vero», ammette. Su Yves Saint-Laurent sono stati girati due film, usciti entrambi nel 2014. In precedenza Pierre Bergé, a lungo suo compagno, nella vita e negli affari, aveva scritto le Lettere a Yves, dove confessava quel vortice di autodistruzione, fatto di sesso sfrenato, alcool e droga, in cui Saint Laurent era scivolato. Ma alla fine solo con il libro di Marianne si capisce tutto, come lui fosse portatore inconsapevole di tragedie che non conosceva. Era nato nel 1936, a Orano, nell’Algeria francese. «Si crede che Yves sia stato un bambino adorato da sua madre. Ma è un falso mito. Sua mamma non era capace di amore, perché aveva subito troppe violenze. Non era cattiva. Ma solo una vittima, indurita per sopravvivere».Yves, da ragazzino, l’accompagnava nei negozi di Orano o la sera nei dancing, lei vestita di abiti a pois (per lo stilista diventarono poi un’ossessione). Lucienne si concedeva tante avventure, finché lasciò il marito, alla fine della guerra d’Algeria, nel 1962, alla volta di Parigi, dove il figlio era già famoso «e così mia nonna cominciò finalmente a guardarlo con uno sguardo più interessato». Come scrive nel libro, «mio zio vestiva le donne per vestire sua madre», un’ossessione. Due figure paterneAndò in Francia anche Brigitte, la sorella di Yves, di una bellezza vistosa, ma irrequieta come lui, ancora alcool e amori tossici. Da piccola abbandonò Marianne qualche anno, la lasciò al padre, doveva «fare la sua vita». Poi la recuperò, ma per la piccola era dura restare in quell’appartamento, dove Brigitte diventava sempre più razzista e insoddisfatta, pied-noir nostalgica di un mondo perduto. «Mio zio, invece, si vergognava di essere pied-noir. In Algeria, da ragazzino, lo avevano preso in giro, perché poco virile». Fu la salvezza per Marianne l’appartamento in rue Babylone, dove Yves e Pierre vivevano, tra quadri di Cézanne e Matisse e la voce della Callas di sottofondo. «Hanno rappresentato le mie figure paterne: sarò eternamente grata nei loro confronti».Bergé è morto nel settembre scorso. Ma Marianne ha fatto in tempo a raccontargli la verità, le confidenze della nonna. «Mi ha detto: di questa famiglia sei l’unica che si è salvata». Adesso lei, dopo averla raccontata quella verità, spera solo che «si lasci mio zio riposare in pace».