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 2018  giugno 02 Sabato calendario

Piero Angela e il jazz

Il jazz arriva in Italia nel 1917, all’epoca di Caporetto, con gli autisti, i soldati, gli infermieri della United States Army Ambulance Service, inviati dagli americani in aiuto degli eserciti alleati in guerra contro gli Imperi Centrali. L’anno dopo, il 1918, il canzonettista Odoardo Spadaro constata che la smania del jazz ha già contagiato tutti. Lo sentiamo un po’ figlio anche nostro: in quello stesso periodo, è Nick La Rocca, nato a New Orleans da emigrati siciliani, a fondare la Original Dixieland Jazz Band e a registrare, con grande successo, i primi dischi. 
«I musicisti jazz di origine italiana sono stati molti e molto importanti, ma sentivano il bisogno di americanizzare il proprio nome, per venire meglio accettati nel loro nuovo paese. È sempre una questione di appartenenza, di come gli altri ti vedono e giudicano, ti includono o ti escludono», racconta Piero Angela. Quando ha vent’anni – a dicembre ne festeggerà novanta – è il pianista di un gruppo jazz torinese e si fa chiamare Peter Angela. La passione per quella musica non lo ha mai abbandonato. Scriverà anche delle canzoni di divertita ascendenza jazz: Barba, capelli e baffi per farmi bello mi taglierò è la più celebre. La canticchiamo assieme nella cucina della sua casa romana.«Il jazz ha unito tantissimo. Negli Stati Uniti, la prima integrazione tra bianchi e neri è avvenuta nelle orchestre jazz di Benny Goodman e Lionel Hampton. Ebbero molte critiche, ma vinsero: chi ama la musica, non guarda il colore della pelle di chi la suona». Lei inizia a studiare pianoforte classico. Ancora oggi, assieme agli standard del suo amato Oscar Peterson, a As time goes by dalla colonna sonora di Casablanca,s ulla tastiera di casa suona Il clavicembalo ben temperato di Bach. Perché ha scelto il jazz?«Per la sua strepitosa energia e vitalità, perché ogni esecutore diventa anche compositore, grazie alla tecnica dell’improvvisazione che è la cifra tipica del vero jazz. Lavori in un gruppo, ti senti appartenere a quel gruppo e se, come pianista, pensi di essere il primo della classe, ti sbagli di grosso. Sei soltanto uno fra gli altri». Peter Angela scopre il jazz durante il fascismo, che all’inizio non si oppone alla sua diffusione. Ma negli Anni Trenta, con l’aggressione coloniale in Africa, l’esaltazione dell’italianità, quella musica definita «nera», nata in una nazione contro la quale stiamo entrando in guerra, non è più tollerata, rappresenta una pericolosa alterità. Anche la Germania nazista e l’Unione Sovietica la vietano.«La definizione del jazz da parte del fascismo era “musica negroide”, qualcosa dunque considerato primitivo. Le aberrazioni del razzismo e dell’esaltazione del ritorno alla grandezza della Roma imperiale vivevano già in questa definizione».Nel 1938 il fascismo proclama le leggi razziali, che rendono impossibile la vita a migliaia di ebrei italiani e di fatto condividono la strategia nazista dell’annientamento. Suo padre Carlo Angela, uno dei primi psichiatri italiani, nasconde alcuni ebrei nella clinica dove lavora.«Era controllato dalla polizia politica fascista. Sul settimanale Tempi nuovi aveva apertamente accusato Mussolini del delitto Matteotti. Emarginato dal suo lavoro nella sanità, diventa direttore di una clinica privata, la Villa Turina Amione di San Maurizio Canavese. Durante la guerra nasconde un certo numero di ebrei ricoverandoli sotto falso nome, insegnando loro cosa dire e fare in caso di controlli. Per evitare di essere smascherati, il loro comportamento doveva corrispondere alla diagnosi clinica». Tra gli ebrei salvati da suo padre – scomparso nel 1949 e al quale nel 2001 è stata conferita la medaglia di Giusto tra le nazioni – anche Renzo Segre, che racconterà la vita in quella clinica nel libroVenti mesi, pubblicato da Sellerio. «Mio padre venne convocato dalla polizia politica che aveva degli elementi per dimostrare che l’uomo ricoverato come Sagrado era in realtà l’ebreo Segre. Lui continuò a negare e infine li convinse. Rischiò anche la fucilazione: come rappresaglia dopo un attentato i fascisti vennero per fucilare quattro persone, tra cui lui. Ma un ricoverato, uno vero, conosceva bene il capo di quel plotone e riuscì a convincerlo. Quando tornai da scuola, vidi davanti alla clinica tre cadaveri. Ricordo in particolare due signore ebree, una aveva una bambina: per tutto il periodo in cui restarono nella clinica, non uscirono mai dalla loro stanza. Dopo la Liberazione, uno dei ricoverati venne da me e stringendomi la mano disse: “Permette? Vorrei ripresentarmi: Levi”».Occorreva grande coraggio per proteggere gli ebrei. Quando i nazisti occupano l’Italia e Mussolini fonda la Repubblica Sociale Italiana, gli ebrei sono trattati come «sudditi di uno Stato nemico». Oggi, dopo tre quarti di secolo, quale memoria conserva di Carlo Angela?«Un uomo che ha saputo trasmettere a tutti noi dei valori forti, mai dimenticati. Ha rischiato la pelle, e anche il disastro per la sua famiglia, per difendere un principio di giustizia, non accettando che vi siano delle persone perseguitate, uccise in massa solo perché hanno una diversa religione o appartengono a un’altra comunità. Il jazz è stato importante anche per questo motivo: nella sua storia ha sempre incluso, mai escluso».