La Stampa, 2 giugno 2018
Zodiac e il mostro di Firenze. La pista dell’unico serial killer
Il mostro delle sedici vittime colpisce l’ultima volta nel settembre 1985 nella campagna di San Casciano Val di Pesa vicino a un cimitero. Uccide due francesi, il musicista Jean-Michel Kraveichvili e Nadine Mauriot, infierisce sul corpo della donna, la mutila come ha fatto sempre. Nei laboratori della polizia i reperti del delitto sono i più intatti: la tenda, un fazzolettino stretto intorno a guanti da chirurgo, la busta con un lembo di seno inviata per sfida ai magistrati. Anche le cartucce Winchester serie H, compatibili con l’arma degli omicidi, una Beretta 22, mai trovata.
Il procuratore aggiunto di Firenze Luca Turco ha deciso di far tirar fuori tutti gli oggetti dagli archivi e ricominciare tutto da capo: esami del Dna, perizie balistiche. Come fosse un cold case. Perché l’inchiesta sul mostro non si è mai conclusa e tanti esami, all’epoca, non si erano potuti effettuare perché mancavano le tecniche. È morto Pacciani, prima che un iter processuale sull’ottovolante si concludesse: ma l’ultima sentenza è di assoluzione, sia pure annullata dalla Cassazione. Sono morti il Lotti e il Vanni, i compagni di merende, loro sì condannati. Ma alla fine, nessuno è stato mai convinto che quegli sciagurati semianalfabeti abbiano fatto tutto da soli. Il loro Dna c’è. C’è anche, perché sono ancora in vita, quello di un ex legionario di Prato, Giampiero Vigilanti, 87 anni, e del suo medico, il coetaneo Francesco Caccamo, iscritti sul registro degli indagati. Sono finiti tardivamente nel tritacarne dei sospetti o c’entrano davvero qualcosa? C’è una nuova sfida investigativa e un nuovo diluvio di rivelazioni choc. Seduto nel suo ufficio di procuratore capo di Pistoia il magistrato Paolo Canessa, lo storico pm dell’indagine, sospira: «Sembra quasi che ci sia qualcuno che le costruisce». La storia dell’inchiesta è anche fatta di depistaggi, alcuni per mitomania, altri in cui ha fatto anche capolino la mano dei servizi. Partiti i nuovi accertamenti, arrivano due storie incredibili che sembrano essere messe sul piatto, cotte e servite, per scompaginare le poche certezze. Dice Hercule Poirot nell’Assassinio sull’Orient Express: «Vale una sola coincidenza». Due no. Prima Angelo Izzo, il massacratore del Circeo, si attribuisce un altro delitto, quello di Rossella Corazzin, 17 anni, e tira in ballo il giovane medico di Foligno Francesco Narducci. Il suo nome fu accostato al Mostro di Firenze, morì in circostanze misteriose nel 1985, non c’è mai stata la certezza che il corpo recuperato nel lago Trasimeno (vicino al quale Izzo dice fu seviziata e uccisa la giovane) fosse il suo. Le due inchieste non hanno mai trovato riscontri di un suo ruolo nei delitti di Scandicci. Poi arriva la bomba nucleare. Chi è Zodiac? Un serial killer che alla fine degli anni Sessanta uccide cinque persone (altre due sono sopravvissute) negli Stati Uniti, mutila le donne, poi continua a sfidare gli inquirenti con una lunga serie di lettere al San Francisco Chronicle: «Ho ucciso 37 volte». Indovinelli, giochi di parole. Dura fino al 1974, poi il silenzio.Negli ultimi giorni arriva alla procura di Firenze un documento. Indica il nome di un militare americano, Joseph B. Sostiene che lo stesso si sarebbe tradito in una telefonata, ammettendo di esser lui il mostro di Firenze dopo essere arrivato in Italia per divenire il direttore del Cimitero americano a Falciani (FI). Ci sono suggestioni di peso. Il primo delitto del mostro, del 1968, per molti è un’altra storia, non fa parte della serie, che inizia invece nel 1974, quando l’uomo arriva vicino a Scandicci. Joseph, poi, fu anche testimone nel processo a Pacciani perché aveva visto per l’ultima volta i francesi uccisi. Si presentò come ufficiale dell’esercito Usa, rifiutò le riprese tv. Cadde anche in una contraddizione: «Sentii la notizia alla radio alle 6.30». Ma i corpi furono trovati solo molte ore più tardi. Joseph però contrattacca: «Mai fatto nessuna confessione, non ho mai commesso alcun delitto». Così si perpetua il sospetto che, dietro un’inchiesta che non finisce mai, si continui a giocare un’incomprensibile partita di caos.