Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  giugno 02 Sabato calendario

«Non sfascerò i conti pubblici. E nessuno vuol uscire dall’euro». I piani di Tria

Uscire dall’euro? «Ma in Italia non lo dice nessuno!» Fra le siepi secolari dei giardini del Quirinale ecco Giovanni Tria, classe 1948, popolare preside della facoltà di Economia di Tor Vergata, da ieri con addosso l’impopolare casacca di ministro del terzo debito del mondo. Un po’ sorpreso, un po’ frastornato, scelto su indicazione di Paolo Savona, sa bene perché Mattarella lo ha richiamato dalla prospettiva imminente della pensione (è del 1948). «Non è mia intenzione sfasciare i conti pubblici», confida agli amici. Il collega Pasquale Tridico – che ha lasciato il Movimento Cinque Stelle contro la scelta del governo con la Lega – lo definisce un «keynesiano di destra». Keynesiano di certo lo è: amico del premio Nobel Edmund Phelps, Tria ha teorizzato fra le altre lo scorporo della spesa pubblica per investimenti dai parametri europei. Di destra lo è se di destra è credere nel taglio delle tasse come stimolo per la crescita. Fatto il giuramento, lunedì ci sarà il passaggio di consegne con un keynesiano di sinistra – Pier Carlo Padoan – poi dovrà mettersi a lavorare in fretta. Il 21 e 22 giugno l’agenda di Bruxelles prevede la riunione dei ministri finanziari in cui si parlerà di rafforzamento dell’unione bancaria. La settimana successiva – il 28 e il 29 – sempre a Bruxelles c’è il vertice dei capi di Stato in cui si discuterà del piano franco-tedesco di riforma delle istituzioni e del nuovo bilancio europeo. Emmanuel Macron sta cercando il sostegno italiano contro la forza immobile di Angela Merkel, immersa in una campagna elettorale permanente e preoccupata dal voto in Baviera di settembre. 
Raccontano gli amici che una delle priorità di Tria a Bruxelles sarà porre l’accento proprio sugli investimenti. Ma fra il dire il fare c’è di mezzo la dura realtà: a Bruxelles non si parla d’altro da anni, e se l’Italia ha un problema è quello di non avere una classe politica – soprattutto locale – capace di usarli, quei fondi. Una delle idee più antiche e visionarie (la proposta la lanciarono l’allora premier lussemburghese Jean Claude Juncker e Giulio Tremonti) è quella di emettere titoli di debito europeo finalizzati a sostenere quel tipo di spesa. Ma convincere i tedeschi resta una missione impossibile, almeno finché non ci sarà un ministro delle Finanze europeo con il potere di vincolare la spesa di tutti. Su un punto il neo-ministro è perfettamente orientato con le tesi europee: lo spostamento del peso fiscale dalle imposte dirette (quella sui redditi) a quelle indirette, come l’Iva. Ciò però non significa automaticamente che Tria sia favorevole a lasciar correre le clausole che dal primo gennaio alzerebbero complessivamente l’imposta sui consumi per dodici miliardi. Sia Salvini che Di Maio sono contrari, dunque è probabile che la teoria economica lasci spazio alla pratica politica. «Credo ci andrà con i piedi di piombo», conferma un vecchio amico che chiede di non essere citato e con cui ha parlato giusto ieri. Quando al governo c’era il politico Renzi e al Tesoro il tecnico Padoan, la battaglia per far tornare i conti era un corpo a corpo. Ora Tria si troverà davanti un premier politicamente debole e ben due azionisti forti, con obiettivi non convergenti. Uno di loro – Luigi Di Maio – è stato nominato super ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, dunque con un peso specifico di gran lunga superiore a qualunque altro dicastero e determinato a portare a casa una bandiera della campagna elettorale, fosse la revisione della legge Fornero o una sorta di reddito di cittadinanza. «Non sfascerò i conti», dice agli amici. E in effetti nelle sue lezioni e nei suoi interventi predica la sana e prudente gestione, pur non disdegnando il deficit utile ad abbassare la pressione fiscale. Le stanze del potere le ha bazzicate a lungo come consigliere economico dell’allora ministro Renato Brunetta, e dunque sa fin dove potrà spingersi. Le Borse ieri hanno brindato al giuramento e lo spread è sceso. Agli occhi dei mercati la scelta di Tria costituisce l’argine ai cento miliardi del contratto di governo. Lo sarà?