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 2018  giugno 02 Sabato calendario

Vasco, il rock è acciaio

TORINO Se c’è Vasco l’estate può partire. Arriva il caldo e la rockstar occupa gli stadi. Sono la sua casa delle vacanze. Aspettiamocelo lì anche negli anni a venire. Dimenticati gli anni bui della malattia. Archiviato il record mondiale di Modena Park. Il nome del «Non Stop Live Tour» partito ieri da Torino spiegava nei giorni scorsi – indica proprio la voglia, rubata al «Neverending Tour» di Bob Dylan, di non fermarsi. Già ci sono i piani per il prossimo anno: di sicuro una bel po’ di date a S. Siro, trascurato a questo giro.
Fiamme e acciaio. Il rock di Vasco è industria siderurgica. Per le orecchie perché prosegue il suo avvicinamento al metal. «A 20 anni facevo rock suonando con un gruppo di amici. Adesso la band è affinata e il suono è diventato più potente e aggressivo», confessava nei giorni scorsi. Il contrario del si nasce incendiari, si muore pompieri.
Per gli occhi perché l’immaginario è quello. Palco in stile industrial: 70 metri per 22 di altezza, 155 tonnellate di materiali fra zavorre e attrezzature, tubi e impalcature a fare da contorno a 600 metri quadri di schermi. Se non fosse chiaro ecco il video che introduce lo show: scintille e attrezzi per forgiare nell’acciaio la scritta «Vasco Non Stop». 
«Cosa succede in città» è la partenza. Vasco l’ha scritta nel 1985, ma quel «guarda lì guarda là che confusione» si adatta perfettamente a questi giorni. «La confusione oggi si è moltiplicata. Scegliere quella canzone vuol dire mettere subito in chiaro le cose» aveva annunciato. È uno dei brani in cui la pelle metal si sente di più. La prima parte della serata si appoggia ai pilastri degli anni 80 (e prima): «Deviazioni», «Blasco Rossi» e «Fegato, fegato spappolato». 
Vasco potrebbe anche non cantare, i decibel dei 40 mila spingono. E dopo l’omaggio che i Metallica gli hanno fatto nell’ultimo tour, rende il favore con una citazione della loro «Enter Sandman» prima di lanciarsi in un medley rock che passa più volte dall’allegria di «Delusa».
La band ha cambiato pelle. Un pezzo alla volta. Per scelta (il taglio di Maurizio Solieri) o per le tragedie della vita (l’addio di Massimino Riva). A questo giro ci sono due nuovi ingressi. Uno voluto. Beatrice Antolini che sostituisce Clara Moroni ai cori ma fa anche un gran lavoro fra percussioni, chitarre e tastiere. 
L’altro è stato un’emergenza. Al basso c’è Andrea Torresani che dopo il ricovero d’urgenza del Gallo (Claudio Golinelli) si è studiato tutto il concerto al volo. Stef Burns e Vince Pastano si dividono gli assoli: pancia e cervello. Alla batteria Matt Laug pesta, alle tastiere c sono Frank Nemola (suona anche la tromba) e Alberto Rocchetti. Niente assoli di sax (ed ora di archiviarli), anche Cucchia dopo 30 anni è stato messo fuori squadra.
Vasco rifiuta l’etichetta di profeta, ma questa è una messa laica. Con i suoi riti: le mosse di Vasco, le pose con l’asta, il suo saltellare (Celentano consenta) molleggiato, il coro «Vascooooo Vascoooo». Del resto il suo profilo Facebook riporta «luogo di culto» nelle informazioni.
Il metal-industrial ha anche il suo lato morbido. E non è così nascosto. Nella scaletta spuntano momenti dolci e tormentati come «Vivere non è facile», un medley acustico («Dillo alla luna», «L’una per te»,«E…») e verso il finale «Vivere» e «Sally». 
La chiusura come da tradizione è «Albachiara», quella che Vasco ricorda come il suo primo gesto da «provocatore» (parla di masturbazione al femminile, da non dimenticare che era il 1979) e chissà quali sono i ricordi diversi di ciascuno dei 40 mila.