Corriere della Sera, 2 giugno 2018
È morto Ghirardi, fisico che spiegava la meccanica quantistica
Delle teorie che ave-vano sfidato il nos-tro «senso comune» la fisica quantistica è con-siderata la più esoterica, non foss’altro per la sot-tigliezza dei concetti ma-tematici di cui si serve. Cercare di comunicarne i punti essenziali a un pub-blico più ampio della cer-chia degli specialisti a non pochi illustri scienziati era sembrato un compito im-possibile. Gian Carlo Ghi-rardi era invece pervaso dalla convinzione oppos-ta. Non era affatto un divulgatore di professione, ma una delle personalità più rilevanti della comuni-tà scientifica. Nato nel 1935 a Milano, si era lau-reato in fisica all’Università degli Studi. Trieste è stata la sua città di elezione, do-ve ha contribuito all’affer-mazione di prestigiose istituzioni. A metà degli anni ‘80 del secolo scorso, insieme con Alberto Rimi-ni e Tullio Weber, aveva messo a punto un’elegante teoria che colmava alcune lacune della concezione «canonica» delineata da Niels Bohr e Werner Heisenberg tra Copen-aghen e Gottinga. Lo schema messo a punto da Ghirardi, Rimini e Weber consentiva di identificare il luogo e momento in cui un sistema quantistico ca-ratterizzato da una «so-vrapposizione di stati» fornisce risultati univoci a livello macroscopico quando lo si osservi tra-mite un appropriato stru-mento di misura. Ghirardi soleva dirci, quando lo si andava a trovare, che già questo poteva suonare ostico. Riprendeva allora la celebre storia del gatto immaginato da Erwin Schroedinger che, in op-portune condizioni, è con-temporaneamente «vivo e morto». Era solo un es-perimento mentale e nes-sun bravo felino, aggiun-geva scherzando, aveva corso dei rischi. Anche un gatto è costituito da parti-celle quantistiche e non era affatto chiara la soglia in cui la situazione micro-fisica finiva col dare luogo alla sua versione macro-fisica. Ghirardi aveva dedi-cato alla questione uno splendido libro dal titolo Un’occhiata alle carte di Dio (il Saggiatore, 2009). L’idea di quell’occhiata «se pur di sfuggita» era un vecchio desiderio di Ein-stein; per Ghirardi voleva dire capire come la scienza sia capace di spiegare ciò che ci è familiare (i nostri macrooggetti come i gatti) in termini niente affatto familiari, ai quali il grande pubblico va abituato senza rinunciare né al rigore, né alla chiarezza. Lui ci era riuscito.