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 2018  giugno 02 Sabato calendario

Marchionne chiude un’era: addio all’auto di massa Fiat

Sergio Marchionne ha celebrato ieri a Balocco la sua epopea. Questo è il suo ultimo piano industriale: dal 2019 non sarà più lui sulla tolda di comando del gruppo. E ha i suoi motivi, del resto, nel celebrarsi. Rilevò da amministratore delegato la vecchia Fiat nel 2004, quando era sull’orlo del collasso troppo piccola, piena di perdite e debiti e l’ha rivoltata come un calzino. Ha reso Fiat con l’acquisizione di Chrysler un gruppo globale sempre più con la testa e il mercato negli Stati Uniti. Ha riportato l’utile già dal 2005 e ha ridato al gruppo una profittabilità in linea con gli altri big dell’auto.
Oggi Fca ha un ebit margin, l’indicatore utilizzato dagli analisti come termometro della salute industriale, che si avvicina al 7% e che viene proiettato dal nuovo piano tra il 9 e l’11% nel 2022. Non solo, ma l’altro capolavoro del manager italo-canadese è stato il lavoro sul debito. Ieri ha annunciato, come era nei piani, che Fca entro fine giugno raggiungerà l’obiettivo di azzerare il debito netto industriale. Era il suo obiettivo reso esplicito dopo aver risanato il conto economico nei primi anni del suo regno. Tanto che aveva promesso di indossare la cravatta se l’avesse raggiunto. E ieri l’aveva ben annodata sotto al maglioncino.
Ma l’uscita di scena di Marchionne coincide con un nuovo cambio di pelle dell’azienda automobilistica controllata da Exor. La nuova Fca sarà sempre più americana, con le punte di diamante delle Jeep e i pick up del marchio Ram, e soprattutto si chiude con l’auto di massa di fascia bassa. La nuova Fca sarà sempre meno Fiat e Lancia, i due marchi che continuano a perdere denaro, e che non a caso non sono neanche stati citati nella presentazione del piano industriale. E sarà sempre meno italiana. Anzi di fatto si chiude per sempre la stagione della Fiat legata storicamente all’utilitaria. Non si fanno margini da sempre e ora Marchionne taglia definitivamente il cordone ombelicale che connotava anche simbolicamente il marchio con le vetture di fascia medio-bassa. Il futuro sarà nella gamma alta, la cosiddetta fascia premium dove i big dell’auto tendono tutti a spostarsi perché lì c’è profittabilità. Del resto basta sfogliare i bilanci della Fca Italy, la vecchia Fiat auto che raccoglie stabilimenti e marchi soprattutto dell’area europea. Da anni Fca Italy chiude con perdite che superano il miliardo, pur avendo visto i ricavi salire da 16 miliardi a 29 miliardi solo negli ultimi anni. Volumi di fatturato in forte crescita ma redditività tutta da trovare. Nel 2017 infatti la perdita è stata di 600 milioni, dimezzata rispetto al miliardo di rosso del 2016, ma di perdita sempre trattasi. Il driver che ha portato Fca a risalire la classifica della profittabilità industriale è nel mercato Nafta e nei marchi Jeep e Ram proprio quelli su cui Marchionne continua a puntare anche per il futuro. Basti vedere del resto le stime degli analisti. Per il 2018 infatti si prevede che dall’area Nafta provenga ben l’80% di tutto l’utile operativo della società. L’area Emea (l’Europa allargata) contribuirà solo per il 12% dei circa 8 miliardi di ebit atteso. Ancora più basso il contributo delle aree asiatica e latino americana: solo per il restante 8%. Quanto ai marchi non deve sorprendere la scommessa reiterata anche ieri su Jeep e Ram. I due marchi di Suv e pick up fanno di fatto da soli quasi tutta la redditività operativa di Fca con un livello di marginalità previsto dagli analisti al 12% nel 2019. Un livello che permette di assorbire le scarse performance dei marchi Chrysler e Dodge e le perdite operative di Fiat e Lancia previste anche per il 2019. L’altra fonte di soddisfazione per il colosso dell’auto viene da Maserati che fa meno del 4% del totale delle vendite ma con un utile operativo al 15% del fatturato. E poi il rilancio di Alfa e lo scorporo sempre più vicino di Magneti Marelli. Certo è che il piano sembra molto ambizioso. “L’investimento di Fca per il piano 2018-2022 sarà di 45 miliardi di euro e si prevede di raggiungere nel 2022 una crescita annua media dei ricavi del 7%”, ha detto il direttore finanziario Richard Palmer che tra l’altro prevede un ebit tra i 13 e i 16 miliardi, con un margine tra il 9% e l’11%, “il migliore mai raggiunto nel settore da nessun competitor”. Si vedrà. Il piano prevede inoltre la sfida dell’auto elettrica. L’obiettivo di Fca è che entro il 2022 nella Regione Emea il 20% della flotta del gruppo sia elettrificata, compresi i veicoli commerciali. Mentre nel 2021 è previsto l’addio al diesel. Non solo, a scapito dei risultati e della decisione di puntare quasi tutto sul mercato Usa, è stato detto che Fca raggiungerà nel 2022 la piena capacità produttiva negli stabilimenti italiani ed europei. L’obiettivo sarà raggiunto – è stato precisato – con un mix più redditizio di modelli, di marchi premium e prodotti verdi del brand Fiat. Sui modelli che saranno prodotti in Italia, ha precisato Marchionne, “decideremo alla fine dell’estate, ma non manderemo a casa nessuno”. E in estate si saprà anche dove sarà prodotta la nuova 500 elettrica. Il piano non ha convinto in mercati: il titolo ha chiuso a -4,53%, dopo essere stato congelato.
Non ci sta a questa visione iper-ottimistica il segretario generale della Fiom Francesca Re Davis: “Se prendiamo il piano industriale Fca del 2014, è lo stesso di quello presentato oggi, con l’unica differenza che ci si sposta sui modelli premium invece che su quelli di media e bassa gamma. Va detto che l’ad del Lingotto non ha mai rispettato un piano industriale: quello precedente prevedeva la realizzazione di 27 modelli, ne ha fatti 12, ed oggi presenta un altro piano con l’annuncio di altri nuovi modelli con i vecchi 15 mai realizzati”. Quanto alla piena occupazione questa resta tuttora un miraggio. Quel che c’è sul tavolo ancora oggi sono gli ammortizzatori sociali. La cassa integrazione che continua a essere applicata in molti dei siti produttivi di Fca in Italia. Con 3,5 miliardi di utili netti nel 2017 e una previsione di utile netto a 5 miliardi per quest’anno forse quella Cigs potrebbe pagarsela la stessa Fca anziché scaricarla come onere pubblico.