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 2018  giugno 02 Sabato calendario

Ritratto di Moavero, il diplomatico suggerito dal Colle

Da Bruxelles la nomina considerata decisiva in questo governo non è quella di Paolo Savona, agli Affari europei, ma il ritorno di Enzo Moavero Milanesi, 63 anni, andato agli Esteri. Un nome di garanzia, suggerito dal Quirinale, che avrà un peso europeo decisivo, relegando ai margini Savona. Ai tempi del governo di Mario Monti, tra 2011 e 2012, Moavero era molto più di quello che indicava la sua qualifica di ministro senza portafoglio per gli Affari europei: era l’interlocutore di ogni commissario europeo di passaggio a Roma. Dalla presidenza del Consiglio, agli Affari generali, il coordinamento dei ministri degli Affari europei, influenzava l’agenda del Consiglio europeo che riunisce i capi di governo: non tanto sui grandi temi – che decidono i leader – ma con quell’attenzione alla scaletta della discussione, ai dettagli laterali, alle omissioni cruciali che soltanto i professionisti della bolla comunitaria padroneggiano.
Nel governo Letta Moavero rimane al suo posto, arriva Matteo Renzi che preferisce affidare i rapporti con l’Europa a un fedelissimo come Sandro Gozi, anche lui un ex funzionario europeo come Moavero che però, dopo essere stato capo di gabinetto di Monti da commissario, era arrivato a una poltrona di vertice della struttura tecnocratica, quella di vicesegretario generale. I rapporti tra Gozi e Moavero non sono mai stati di collaborazione: o uno o l’altro. Moavero viene messo da parte, torna a fare il professore alla Luiss, salvo essere di nuovo coinvolto dal governo Gentiloni come negoziatore per tentare di portare in Italia (senza successo, per poco) la sede dell’Agenzia europea per i medicinali: Moavero in ottimi rapporti con Jean Claude Juncker e con Michel Barnier, ex commissario oggi negoziatore per la Brexit. Adesso Moavero si trova a fare di necessità virtù: a usare una macchina strutturata e piena di risorse come quella del ministero degli Esteri per attività che lui considera di politica interna, cioè le questioni europee. Paolo Savona non potrà competere: su tutti i dossier europei che contano, dalla questione migranti alla Libia, ai rapporti con i Paesi dell’Est del gruppo Visegrad, se Moavero schiera la Farnesina, sarà lui ad avere l’ultima parola. E ogni ministro avrà a fianco un consigliere diplomatico, indicato da Moavero. Il tasso di europeismo di un governo che nasce euro-scettico sarà così garantito.
Che c’entra un personaggio così con la coppia Salvini-Di Maio? Con la Lega nulla, se non per le origini milanesi. Ma nella biografia di Moavero ci sono tratti che possono sedurre i grillini: da ministro degli Affari europei Moavero non ha mai avuto neppure un portavoce, praticamente zero staff, faceva tutto da solo, senza apparire (le sue interviste televisive sono rarissime). Quando viene nominato ministro nel 2011 si dimette da giudice della Corte di Giustizia europea, anziché mettersi in aspettativa, lasciando uno stipendio sicuro e ricchi trattamenti pensionistici. Un gesto non scontato, come dimostra il fatto che il nuovo presidente della Consob, Mario Nava, ha chiesto addirittura di essere distaccato dalla Commissione, invece di dimettersi o chiedere l’aspettativa.
Nella sua azione europea, a differenza dei luoghi comuni sul governo dell’austerità, Moavero si è mosso su indicazione di Monti per aggregare un fronte anti-austerità che all’epoca aggregava la Francia di François Hollande (il partner indispensabile per l’Italia nelle trattative con la Germania) e perfino la Gran Bretagna di David Cameron. Più o meno quello che, in modo più confuso e aggressivo, immaginano di fare Lega e M5S.