la Repubblica, 2 giugno 2018
Paolo Genovese: «Chi si aspettava tanto successo? E pensare che di quel film non ho nemmeno i diritti»
Fra il box office italiano e quello spagnolo avevamo superato i 50 milioni di dollari. Ormai tra diritti dell’originale e diritti di remake dovremmo essere oltre i 100 milioni di dollari». Il regista Paolo Genovese va “a spanne”, non ha le cifre esatte ma gli incassi di Perfetti sconosciuti sono più che lusinghieri. Ora anche il boom cinese.
Anche per lei una buona fetta di torta.
«Tutt’altro. Il film non è “mio”, i miei sceneggiatori e io non abbiamo alcun diritto».
Vuole dire che non ci guadagna niente?
«Esatto. In queste situazioni, a te non arriva un euro. Mi rendo conto che la notizia è divertente, ma è esattamente così».
Ma è una regola o, all’epoca, firmò un contratto del quale s’è pentito?
«In Italia nessuno ha i diritti per l’estero perché è raro che i nostri film abbiano una vita all’estero. I festival, qualche piccola uscita, ma non di rilievo economico».
Escludere questa possibilità è un indice di sfiducia nei confronti del cinema italiano.
«In parte sì. Perfetti sconosciuti prova che invece è possibile parlare un linguaggio comprensibile anche fuori. La Spagna, con Alex de la Iglesia, fu la prima a fare un remake: non cambiarono una virgola. La Grecia, l’Ungheria, la Turchia, la Svezia lo hanno rifatto identico. Vuol dire che la storia ha una portata internazionale. Il mio rimpianto è che forse avremmo dovuto esportare il film italiano, senza bisogno di adattamento, invece che vendere i diritti. Avremmo esportato l’Italia, come abbiamo fatto in altri paesi: Russia, Ungheria, Israele, Serbia, Svezia, Norvegia... È stato uno dei più grandi successi europei degli ultimi quarant’anni. Se la gioca con Amélie e Quasi amici».
Quindi nessun introito nemmeno dall’exploit cinese.
«Ci abbiamo guadagnato in promozione del prodotto italiano e nella possibilità di rapporti commerciali con la Cina. Il film, prodotto da Marco Belardi per Lotus, una società del Gruppo Leone, e Medusa Film, che l’ha distribuito, ha cominciato a interessare la Cina perché è stato il più piratato del 2017. Già dopo i download due produttori cinesi mi avevano chiesto di fare un film. Ho partecipato a una masterclass all’università di Pechino, ero con Emir Kusturica ma c’era più interesse per Perfetti sconosciuti. Confesso che questo ha smosso fortemente la mia pancia. Ora c’è grande interesse per il cinema italiano».
Purché parli un linguaggio internazionale.
«È la nuova sfida. La fruizione sta cambiando, pensiamo allo streaming. Io ho coprodotto Rimetti a noi i nostri debiti, uscito solo su Netflix e visibile in 200 paesi. Dobbiamo ragionare su storie e contenuti universali».
Non è una rinuncia?
«Lo è se abdichi a priori alla sala cinematografica. È una conquista se ragioni in termini di doppia chance: fai un film pensato per la sala ma a prescindere da dove verrà rilasciato. Netflix, Amazon, le piattaforme che stanno conquistando il mercato sono delle industrie, cercano vantaggi strategici di marketing. Tendono a acquisire o coprodurre film in esclusiva per le loro piattaforme, come a dire: il cinema, per noi, non esiste più. Fra poco sarà non dico l’unica alternativa ma la principale. E indurrà un cambiamento nel linguaggio cinematografico. Noi dovremo cambiare, altrimenti faremo la fine di Blockbuster: pensavano che il mondo avrebbe continuato in eterno a noleggiare videocassette».