la Repubblica, 2 giugno 2018
Il più antico olio di oliva nella giara di 4mila anni
Se passate dall’Età del Bronzo, è forse la Sicilia il posto migliore dove andare a mangiare. Dopo aver restituito l’estate scorsa i resti del vino più antico d’Europa, oggi l’isola presenta il primo campione di olio d’oliva, risalente a 4mila anni fa: segno che la dieta mediterranea era apprezzata già nella preistoria. Le tracce del condimento sono state trovate in una giara a Castelluccio di Noto, a pochi passi da Palazzolo Acreide, in provincia di Siracusa. I due campioni pugliesi che detenevano il record precedente risalgono a sette secoli più tardi.
L’estate dell’anno scorso, sempre in Sicilia, da una delle labirintiche grotte del Monte Kronio vicino Sciacca erano emersi i più antichi residui di vino d’Europa. «Hanno quasi 5mila anni» spiega Davide Tanasi, il professore di storia dell’università della Florida del Sud che ha guidato le analisi sia sui campioni di olio che della bevanda alcolica. Siciliano d’origine, lavora a Tampa da due anni, ma evidentemente non è riuscito a dimenticare il cibo di casa. «Rassegnarsi ai piatti di qui non è facile» ammette. Il vino del Monte Kronio, in realtà, era stato per pochi mesi il campione più antico del mondo.
«Ma subito dopo il nostro annuncio è arrivata la scoperta di un ritrovamento del 6.000 a.C. in Georgia» racconta Tanasi.Dettagli a parte, quattro millenni fa la Sicilia era di certo la capitale culinaria del Mediterraneo. «La giara che conteneva l’olio è stata trovata durante gli scavi degli anni ‘90 a Castelluccio condotti dal soprintendente di Siracusa Giuseppe Voza. Si trovava in una capanna e il carbonio 14 l’ha datata tra il 2.200 e il 1.900 avanti Cristo» spiega Anita Crispino, archeologa della Sovrintendenza di Siracusa e del Museo Regionale Paolo Orsi, le istituzioni che hanno dato un grande contributo alla ricerca. «È alta poco più di un metro ed era ridotta in 400 pezzi.
Per ricostruirla ci sono voluti sei mesi e una pazienza infinita.L’arrivo di tecniche di analisi nuove e avanzate ci ha permesso oggi di scoprire il suo contenuto». Un campione di 100 milligrammi della terracotta della giara è stato preso, portato a Tampa, polverizzato, ridotto in soluzione e centrifugato. «Lo abbiamo sottoposto a gas cromatografia, spettrografia di massa e risonanza magnetica» racconta Tanasi. «A occhio nudo non si vedeva nulla. Ma la terracotta è porosa e trattiene particelle del liquido con cui entra in contatto». Le “impronte” dell’olio di oliva trovate con le analisi in Florida sono gli acidi oleico e linoleico.
Per il vino erano state soprattutto acido tartarico e polifenoli. «Non abbiamo molti dettagli sulle varietà di vite o di ulivo usate» spiega lo storico. «Per quanto riguarda il vino, in realtà, non sappiamo nemmeno se fosse bianco o rosso. Ma abbiamo in programma un’analisi con il Dna per scoprirlo».Accanto alla grande giara di Castelluccio, gli archeologi avevano trovato due ciotole divise da un setto a metà, forse usate per un (del tutto immaginario) pinzimonio. Per ripescare le giare del vino dalle grotte del Monte Kronio, invece, la sovrintendenza di Agrigento aveva dovuto chiedere la collaborazione degli speleologi professionisti dell’associazione La Venta. In quelle grotte ricche di esalazioni sulfuree la temperatura si aggira infatti sui38 gradi e l’umidità è del 100%.
«Questi luoghi con proprietà geotermali così particolari impressionavano molto gli uomini dell’epoca» spiega Tanasi. Esalazioni e vino creavano probabilmente una miscela mistica. «Ora è nostra intenzione proseguire con questi studi» prosegue lo storico. «Anche analizzando i resti ossei siamo ingrado di risalire alla dieta dei nostri progenitori». In altri campioni del Monte Kronio sono emersi residui di grasso di maiale sottoposto a cottura. Un ingrediente forse poco consono alla dieta mediterranea. Ma pur sempre meritevole di essere segnalato su una guida gastronomica.