La Stampa, 1 giugno 2018
Chi è Riccardo Fraccaro, ministro per la democrazia diretta
La Stampa
Il ministro dei rapporti con il Parlamento e per la democrazia diretta Riccardo Fraccaro è stato spedito in Parlamento sull’onda di 221 voti, vale a dire i clic degli iscritti alla piattaforma Rousseau per cui ciascun deputato e senatore del Movimento 5 Stelle devolve 300 euro al mese alla Casaleggio associati. I pochi che decidono per tutti: per chi non si interessa, non ha tempo, non ha a cuore. Il lato nobile e quello insidioso del Nuovo Mondo: il cittadino che salta istituzioni e rappresentanti e fa da sé.Mai un governo aveva incardinato la democrazia diretta in un ministero. Non così, almeno. Nel contratto Lega-5 Stelle non si parla soltanto di eliminare il quorum dal referendum abrogativo così da scoraggiare l’astensionismo; si parla di rendere obbligatoria (e celere) la pronuncia del Parlamento sulle leggi di iniziativa popolare e soprattutto di introdurre il referendum propositivo. «Un mezzo volto a trasformare in legge proposte avanzate dai cittadini e votate dagli stessi». Come se non fosse questo il senso profondo del Parlamento.Il Movimento 5 Stelle l’ha promesso, fortemente voluto e infine affidato a un fedelissimo di Luigi Di Maio, l’uomo che da poco era stato incaricato di sforbiciare i vitalizi della Casta. Trentasette anni da Montebelluna, Treviso, Fraccaro ha scalato la galassia Cinquestelle non senza qualche inciampo. Entra in Parlamento nel 2013 e subito nomina assistente, ma a titolo gratuito, il fidanzato della sorella. Qualche giorno dopo, quando Giorgio Napolitano accetta il secondo mandato da presidente della Repubblica, scrive su Facebook: «Oggi è il 20 aprile, giorno in cui nacque Hitler. Sarà un caso, ma oggi muore la democrazia in Italia». Dopo alcune ore, il messaggio scompare. E ancora, si mette alla ricerca di un giornalista “tuttofare” promettendogli ben 3 euro per ogni ora di lavoro.Gaffe brillantemente superate fino all’ascesa al governo dove dovrà realizzare uno dei sogni a Cinquestelle, trovando un punto di compromesso tra certi proclami da campagna elettorale – «quando una forza politica come la nostra che crede nella teoria della democrazia diretta condivide alcune regole della democrazia rappresentativa e riceve solo il due di picche il rischio è che cominci ad allontanarsi dalla democrazia rappresentativa», copyright di Luigi Di Maio – e l’impegno del neo presidente della Camera Roberto Fico a garantire la centralità del Parlamento. Ora tocca a lui tradurre in realtà il mantra di Davide Casaleggio: «La democrazia diretta, resa possibile dalla rete ha dato una nuova centralità del cittadino nella società. Le organizzazioni politiche e sociali attuali saranno destrutturate, alcune sono destinate a scomparire». E di farlo, possibilmente, maneggiando con cura uno strumento che rischia di far saltare quel poco che resta di fiducia nelle istituzioni di rappresentanza. Il rischio c’è. L’economista Riccardo Puglisi ha messo in risalto alcuni pericoli della democrazia diretta. Il principale: che «lobby ben organizzate» siano capaci di spingere i governanti «a prendere decisioni sui temi meno salienti – e meno coperti dai mass media – che sono vicini ai loro desideri e lontani da quelli dei cittadini non organizzati».Del resto due docenti universitari, Nadia Fiorino e Roberto Ricciuti, hanno analizzato 87 Paesi in cui funzionano strumenti di democrazia diretta scoprendo che spesso sono le comunità con reddito pro capite e livello medio di istruzione elevati a utilizzarli più di frequente. Possono permettersi un uso più intenso dei referendum perché l’eventualità di decisioni prese sull’onda caotica delle emozioni è più bassa. Non sembra il caso dell’Italia.