la Repubblica, 1 giugno 2018
Ronca contro Turco, la Dinasty veronese che brucia il pandoro
Il crac della Melegatti? “Colpa del Pd che dà i soldi agli immigrati e non alle aziende italiane”. “No, dell’euro”. “Anzi, delle tasse”. L’università di Facebook, dove tutti sono docenti, gronda in queste ore di improbabili (quanto granitiche) certezze sulle cause del fallimento degli inventori del pandoro. La verità è più semplice. Parola di Valerio Scanu, l’ultimo testimonial del gruppo: «I dissidi tra soci hanno nuociuto all’azienda – ha spiegato – un po’ come quando il marito si taglia i genitali per far dispetto alla moglie». La guerra tra donne scoppiata in queste ore via social network, con Silvia Ronca – figlia dell’ex-patron Salvatore – scatenata contro la matrigna Emanuela Perazzoli, contestatissima “zarina” della Melegatti, è solo l’ultimo atto.
«Qui litigavano i nonni, poi hanno proseguito i padri e ora tocca ai nipoti» ripete da anni la presidente del gruppo. I Ronca contro i Turco. E questa saga a base di burro, farina e zucchero tra i due rami della famiglia ha finito per distruggere un gioiellino del made in Italy lasciando senza lavoro 350 persone.«Fino al 2005, quando alla guida c’era mio cugino Salvatore le cose andavano bene – dice Michele Turco, capitano dell’ “opposizione” aziendale –.
L’azienda funzionava, lui teneva fuori moglie (la Perazzoli, ndr) e sorelle dal business e c’era equilibrio». Tredici anni fa però il “casco blu” del pandoro, amatissimo dai dipendenti, è morto. E l’equilibrio (con l’azienda divisa a metà, 50% ai Ronca e 50% ai Turco con obbligo di firma congiunta anche per l’acquisto della carta igienica) è saltato. «Perazzoli e le mie cugine hanno cercato di vendere la società alla Battistero – dice Turco – con l’idea, com’è nel loro dna, di consegnarci a chi ci avrebbe fatto fuori». E Melegatti è diventata un Vietnam: parenti serpenti, veti sui bilanci, denunce in tribunale. Fino a quando Perazzoli, con abile manovra, ha convinto alcuni “dissidenti” a cederle le azioni, conquistando la maggioranza e prendendo a fine 2008 le redini del gruppo.
«Sono qui perché ho le spalle grosse – ha messo subito in chiaro – c’è un litigio tra i soci che non assecondo. Mi difendo e basta».
Difendersi, va detto, s’è difesa bene. Per dieci anni l’avvocatessa diventata pasticciera ha tenuto la poltrona («Papà ha sbagliato a pensare di essere più forte di lei», ha ammesso su Facebook la figliastra). Ma visto che «nessuno si improvvisa imprenditore», come dicono i sindacati che l’accusano di essere la responsabile del crac, le cose non sono andate come sperava. «È un’accentratrice cui piace il potere – dice Turco —.Pretendeva di occuparsi degli acquisti e finiva per comprare il burro a 6 euro al kg. quando un esperto l’avrebbe pagato 3. Ha creato un clima di terrore in azienda». «Voglio andare all’estero e sganciarmi dalla stagionalità del pandoro». ha promesso lei. Giusto, non fosse che ha fatto il passo più lungodella gamba. Ha lanciato in pompa magna uno stabilimento – costo 15 milioni – capace di produrre «35mila croissant al giorno». Peccato che le macchine «avessero mille problemi» assicura Turco e che Ferrero, pronta a fare commesse, si sia sfilata. I debiti hanno iniziato a soffocare il bilancio, i fornitori hanno sospeso le consegne e la situazione si è avvitata.
«Abbiamo attraversato due guerre senza saltare un giorno il lavoro», rivendicava un anno fa Perazzoli. Se l’è tirata da sola: sei mesi dopo l’azienda si è bloccata. Gli aspiranti compratori, visti conti e dissidi tra soci, hanno fatto dietrofront.
Ed è arrivato il crac. «Non possiamo cambiare le cose ma non abbassiamo la testa davanti al male», ha scritto Silvia Ronca punzecchiando la matrigna. La Melegatti (purtroppo) è chiusa, il futuro dei lavoratori è in mano ai giudici fallimentari. Ma la Dinasty del pandoro, a giudicare dai toni dei protagonisti, non è certo finita qui.