la Repubblica, 1 giugno 2018
Così Savona truccava il bilancio di Impregilo
«Trova un poco di utile da qualche parte». In questo appunto consegnato dal professor Paolo Savona a un suo collaboratore, c’è il sunto di una vecchia storia il cui protagonista principale è il ministro in pectore alle Politiche Comunitarie, sulla cui nomina all’Economia si era aperta la più aspra crisi istituzionale della storia repubblicana.Dal punto di vista giudiziario, la vicenda si è conclusa da tempo, nel 2010, con una prescrizione per il reato di aggiotaggio, non esattamente una medaglia per chi dovrebbe relazionarsi con Bruxelles. Ma dal punto di vista politico, la vicenda è appena cominciata: per il regolamento dei 5 Stelle, che l’hanno accettato come ministro su proposta della Lega, probabilmente Savona non avrebbe potuto nemmeno candidarsi al Parlamento.Stando agli atti degli svariati processi scaturiti da una vecchia indagine della procura di Monza (pm Walter Mapelli), nel 2003, Savona ha «forzato gli elementi di valutazione a sua disposizione per migliorare, con una operazione cosmetica» i conti di Impregilo, la società di cui all’epoca era presidente con accanto, come amministratore delegato, Piergiorgio Romiti. Savona e Romiti furono accusati di aver «diffuso notizie false concretamente idonee a provocare una sensibile variazione delle azioni Impregilo».La ricostruzione della Guardia di Finanza lascia poco spazio ai dubbi. Scrive il giudice milanese Enrico Manzi nello stralcio relativo alla “persona giuridica” Impregilo e che nel 2009 ha mandato assolta la società: con quel famoso appunto «redatto dal prof. Savona per il dottor Romiti e il ragionier Pasquazi, l’imputato manifestava l’intenzione di migliorare l’indice di bilancio dal 5 al 5.2 per cento, migliorando così il risultato operativo da 107,5 a 112,8 milioni».Tale “miglioramento creativo” dell’indice di bilancio non fu, però, l’unica manipolazione dei conti operata da Savona. Secondo i giudici, lui e Romiti avevano commesso il reato di aggiotaggio almeno anche in un’altra occasione durante il loro mandato. Per l’esattezza il 25 febbraio del 2003, quando «comunicavano al mercato l’avvenuta deliberazione di messa in liquidazione della controllata Imprepar affermando, contrariamente al vero, che “il bilancio di liquidazione Imprepar chiuderà sostanzialmente in pareggio”». Una bugia bella buona, spiega Manzi: «Mentre per il liquidatore il risultato finale della liquidazione era negativo (-24 milioni) nel comunicato Consob il risultato era attivo (+3 milioni)». Ma non è tutto. Il giudice punta infatti il dito contro «la sopravvalutazione dei crediti verso lo Stato iracheno (120milioni di euro al 31 dicembre 2003 mentre l’anno precedente, causa embargo, la posta era stata valutata solo 60 milioni). Tale valutazione non teneva conto del perdurare dello stato di guerra in quel paese». Così, mentre per il liquidatore i crediti realizzabili da Imprepar (che aveva costruito la diga di Mosul) erano appena di 61,2 milioni, nella comunicazione mandata daSavona e Romiti alla Consob quei crediti erano «pari all’intero valore nominale di 120 milioni». La prescrizione dei reati non ha permesso a nessun giudice di dire l’ultima parola sul valore penale di questi fatti, relativamente alla posizione di Savona. Ma sul professore e sul suo futuro politico pesano le parole messe nero su bianco davanti alla Cassazione dalla procura generale di Milano che ricorreva (richiesta poi accolta) contro l’assoluzione della società: 1) «È certo che Savona e Romiti diffusero notizie false e concretamente idonee a provocare una sensibile alterazione del valore delle azioni della Spa». 2) «Savona e Romiti avevano dolosamente manipolato i dati elaborati dagli uffici competenti per poi inserirli nel comunicato stampa (vicenda Imprepar, ndr) in modo da renderli soddisfacenti per il mercato. 3) «Certamente vi fu frode da parte di Savona e Romiti» e «detta frode fu attuata unicamente in danno degli operatori dei mercati ai quali furono comunicate false notizie, concretamente idonee a provocare una sensibile alterazione dei valori delle azioni». Le accuse dellla procura generale di Milano a chi avrebbe dovuto essere il custode, in Italia e in Europa, dei bilanci del Paese, rischiano oggi di imbarazzare pesantemente il governo nascente. E in particolare il M5S, che ha accettato il pressing leghista per mettere in squadra un ministro privo dei requisiti per essere candidato come parlamentare dai 5Stelle. Si legge infatti nel regolamento interno del Movimento di Grillo: «È considerata grave ed incompatibile con il mantenimento di una carica elettiva la condanna, anche solo in primo grado, per qualsiasi reato commesso con dolo. A tal fine, sono equiparate alla sentenza di condanna la sentenza di patteggiamento, il decreto penale di condanna divenuto irrevocabile e l’estinzione del reato per prescrizione intervenuta dopo il rinvio a giudizio».