1 giugno 2018
Ritratto di Giovanni Tria, nuovo ministro dell’Economia
STEFANO LEPRI PER LA STAMPA –
Stefano Lepri
Come tanti che nel 1968 avevano vent’anni, allora Giovanni Tria era maoista. Oggi che ne ha quasi settanta è un moderato, solidamente atlantico, fin qui vicino a Forza Italia; di quell’epoca lontana gli è rimasto solo che capisce la lingua cinese. Dovrà realizzare un programma di governo a cui aveva appena scritto una critica ricca di buon senso seppur benevola.
A Roma è ben noto, preside della Facoltà di Economia di Tor Vergata, presidente della Scuola nazionale di amministrazione che ha cercato di dinamizzare, un po’ sul modello francese. I colleghi accademici del resto d’Italia se lo conoscono è soprattutto per gli articoli di vario argomento che ha scritto o cofirmato su giornali e riviste vicini al centro-destra.
I legami internazionali
Può sembrare adatto alla moda del sovranismo che non possieda titoli universitari esteri. Ma sui legami internazionali dell’Italia dà al Capo dello Stato una sicurezza che altri non avrebbero dato. Le sue critiche all’euro hanno punti di contatto con quelle di Paolo Savona, però temperate dal realismo e da un carattere poco incline agli azzardi e alle rotture.
Ha scritto appunto che il «contratto di governo» tra i due partiti della nuova maggioranza lo ritiene realizzabile solo in parte, e per gradi. Si dice propenso a lasciar aumentare l’Iva, prospettiva che in campagna elettorale tutte le forze politiche affermavano di rifiutare, ma che in realtà si riservavano di utilizzare una volta insediate al potere.
D’altra parte il governatore della Banca d’Italia ha appena detto che aumentare l’Iva non sarebbe il peggiore dei mali. Tria, sapendo che nel bilancio non ci sono grandi risorse per soddisfare gli impegni elettorali, realisticamente pensa che una parte si potrebbe trovare lì. Ha sempre sostenuto che priorità è ridurre le imposte su lavoro e imprese, accrescendo casomai quelle sui consumi.
La prudenza per la flat tax
È favorevole alla «flat tax» (che poi «flat» non è perché ha due aliquote e non una) inserita nel programma di governo, ma crede poco - come ogni economista che ha studiato - agli effetti magici vantati dai leghisti, di un recupero di gettito per effetto della minor tassazione. Cautamente dice: prima abbassiamo l’Irpef un poco e vediamo che cosa succede.
Ovvero, in parole sue: bisogna «contare meno sulle scommesse e far partire la riforma con un livello di aliquota, o di aliquote, che consenta in via transitoria di minimizzare la perdita di gettito». Dovunque è prudente quanto a vincoli di bilancio; anche sulla modifica della legge Fornero, sulla quale l’articolo se la cava con un giro di frase circospetto.
Il reddito di cittadinanza
Mette con i piedi per terra anche il «reddito di cittadinanza» (cosiddetto anche quello) caro al M5S. Va bene, secondo lui, se sarà un’indennità di disoccupazione rafforzata, magari estesa a chi non ha lavorato mai, come fanno molti altri Paesi ma fin qui l’Italia no. Non gli andrebbe invece «una società in cui una parte della popolazione produce e l’altra consuma» (qui la Lega sarà con lui).
Poiché è esperto di amministrazione, gli preme che vengano rivedute e sveltite certe procedure, ovverosia quel «sistema di controlli giudiziari e para-giudiziari che assieme al codice degli appalti stanno paralizzando ogni velleità di attivazione degli investimenti pubblici, pur da tutti auspicati». Cita l’Ilva, e si intuisce che quanto a politica industriale avrà a che discutere con i Cinque Stelle.
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ENRICO MARRO PER IL CORRIERE DELLA SERA –
Uno studioso che non è mai stato allineato con l’euro ortodossia, ma non un economista di rottura. Romano, 69 anni, preside di Economia all’Università Tor Vergata, già presidente della Scuola nazionale della pubblica amministrazione e collaboratore dell’ex ministro Renato Brunetta, il professor Tria ha radicate relazioni nel mondo a cavallo tra la politica e l’accademia.
Se vogliamo capire come la pensa sui temi caldi, possiamo far riferimento in particolare a due convegni: quello del 24 aprile scorso, sul XII Rapporto sull’economia italiana organizzato da centro studi di Mario Baldassarri, già viceministro dell’Economia con Berlusconi, e il seminario «No euro? Costi diretti e indiretti per l’Italia», voluto un anno fa, dall’associazione, Amici di Marco Biagi, guidata da Maurizio Sacconi, già ministro del Lavoro per Forza Italia. Inoltre, possiamo prendere diversi interventi pubblicati sul sito Formiche. Qui, il 30 dicembre 2016, Tria intervenne nel dibattito aperto da un’intervista sul Corriere della Sera, fatta da Federico Fubini all’economista tedesco Clemens Fuest, il quale sosteneva l’ineluttabilità dell’uscita dell’Italia dall’euro. A quell’intervista replicarono, sempre sul Corriere, Paolo Savona e Giorgio La Malfa con un articolo dove affermavano che era la Germania piuttosto che doveva uscire dall’euro per via del suo surplus della bilancia commerciale.
«Un’analisi economica seria, non una battuta di politici anti-euro, ma di due eminenti economisti con i quali peraltro concordo in pieno», commentò Tria, aggiungendo: «Il mercato non può essere distorto solo per la parte che conviene ad alcuni Paesi e invocato per il resto». E concludeva severamente: «Forse è ora di abbandonare molti tabù che hanno impedito, come rilevano La Malfa e Savona, almeno di analizzare i problemi e prepararsi a soluzioni alternative». Insomma, se non è il piano B per uscire dall’euro studiato da Savona, il ministro dell’economia proposto pochi giorni fa da Salvini e Di Maio e rifiutato dal presidente Mattarella, poco ci manca.
Nel convegno «No euro?» Tria spiegò diffusamente la sua posizione: «Penso che la domanda sia fuorviante, perché ritengo sbagliato rispondere sì, ma credo che non basta rispondere no». C’è infatti, aggiungeva il professore, «un problema di possibile implosione dell’euro» e quindi «prima di dire perché penso che bisogna rispondere no alla domanda se usciamo dall’euro, io partirei dalla domanda su quali sono le condizioni per la sopravvivenza dell’euro e per andare nella direzione opposta a quella della disgregazione». Insomma, una posizione ferma, ma costruttiva. Della serie, affrontiamo i problemi prima che sia troppo tardi.
Qualche settimana fa, Tria ha detto la sua anche sul contratto di programma fra 5 Stelle e Lega. Il professore si è mostrato scettico sul reddito di cittadinanza, cavallo di battaglia di Di Maio: «Improbabile che possa configurare una società in cui una parte della popolazione produce e l’altra consuma», più facile invece che si traduca in «una indennità di disoccupazione un poco rafforzata» e in quanto tale compatibile, dal punto di vista dei conti pubblici, con il «più interessante obiettivo della flat tax», caro a Salvini.
Tria è convinto che sia prioritario ridurre le tasse, ma con prudenza, senza far saltare il bilancio: «Sarebbe preferibile far partire la riforma con un livello di aliquote che consenta di minimizzare la perdita di gettito, per poi ridurle una volta assicurati gli effetti sulla crescita». Del tutto in contrasto con le promesse dei pentaleghisti, invece, sull’Iva. Da una decina d’anni il professore, in linea con Ue e Ocse, ritiene che l’Iva debba aumentare, tagliando allo stesso tempo le tasse su lavoro e famiglie. Prudente anche sulla Fornero (pensioni), che Salvini e Di Maio vorrebbero smontare: bisogna valutare i costi della «correzione», avverte scegliendo con cura il sostantivo. Insomma, ancora prima di partire, si può scommettere che Tria non sarà un mero «esecutore» del contratto. Con l’Europa, infine, non sarà tenero, ma non si presenta con le rigidità caratteriali di Savona.
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ROBERTO PETRINI E GIOVANNA VITALE PER LA REPUBBLICA –
Sarà il ministro che aumenterà l’Iva? Per ora non ci si può mettere la mano sul fuoco ma le opinioni, espresse anche recentemente da Giovanni Tria, l’economista appena nominato al Tesoro, lo lasciano prevedere.
L’altra certezza è che Tria non scherza quando deve tutelare i propri interessi, spingendosi a far causa alla Presidenza del Consiglio, che due anni fa aveva commissariato la Scuola nazionale di amministrazione, causandone di fatto la rimozione.
Tono cortese che nasconde una ferrea determinazione, quasi settantenne, l’attuale preside della facoltà di Economia all’università di Tor Vergata, è stato suggerito a Matteo Salvini da Paolo Savona, l’uomo che avrebbe dovuto essere al suo posto. Con cui condivide alcune tesi.
Analizzando i contenuti del contratto gialloverde sul sito Formiche.net, Tria si è detto favorevole alla flat tax, giudicata un «obiettivo interessante». E le coperture? «Non si vede perché non si debba far scattare le clausole di salvaguardia di aumento dell’Iva per finanziare parte consistente dell’operazione». Uomo prudente, politicamente centrista, Tria è da tempo vicino Forza Italia, amico fraterno di Renato Brunetta, ha contribuito a scrivere il programma economico azzurro.
Fu proprio il nuovo inquilino del Tesoro a sponsorizzare l’ingresso dell’ex ministro forzista a Tor Vergata, il quale nel 2010 lo ha poi nominato presidente alla Scuola dell’amministrazione, nonché suo consigliere al dicastero della Funzione pubblica. E allora non è un caso se adesso, per il ruolo di capo di gabinetto, si faccia il nome di Vincenzo Fortunato, già potentissimo braccio destro di Giulio Tremonti in Via XX Settembre. Un grande ritorno.
Sta di fatto che da superministro all’Economia Tria dovrà ora far quadrare i conti, cercando di allinearli ai desiderata gialloverdi. Ma prima dovrà far dimenticare l’imbarazzante contenzioso con il governo italiano, di cui ieri è entrato a far parte, che pochi giorni fa lo ha visto soccombere dinnanzi al Tar del Lazio. In breve, la vicenda: la Scuola nazionale dell’amministrazione fu commissariata da Palazzo Chigi il 15 marzo del 2016, ma la misura non fu presa per cattiva gestione, bensì perché si decise una semplice riorganizzazione. Tria, che avrebbe dovuto presiedere la Sna fino alla fine del 2017, sentì tuttavia di aver subito un torto e un «danno alla reputazione». E decise di portare la Presidenza del Consiglio e la stessa Scuola in giudizio, chiedendo al tribunale l’annullamento del provvedimento e conseguente ristoro. Meno di due settimane fa la sentenza gli ha dato però torto.
E si spera che ora tutto finisca sul binario morto, senza ulteriori ricorsi: anche per evitare che un ministro del Tesoro chieda un risarcimento a se stesso.
Tornando al contratto gialloverde tra le cose che Tria ha apprezzato di meno c’è il reddito di cittadinanza, specie se dovesse assumere la fisionomia di un «provvedimento improbabile tale da configurare una società in cui una parte della società produce e una consuma» ha spiegato ancora online. Scettico, per via dei costi, anche sulla riforma della Fornero.
Amico del premio Nobel Paul Phelps, economista del giro dei big neokeynesiani , il neo-ministro si muove bene nell’ambiente internazionale, ma quando era capo dell’Osservatorio prezzi, nel 2005, incappò in una clamorosa gaffe: uscì una nota che dava in marzo uno stratosferico aumento del prezzo delle colombe pasquali, +50%, che lo costrinse ad una imbarazzata retromarcia. E il test-Savona? È d’accordo con lui sulla Germania, ma in un articolo con l’amico Brunetta afferma che «non ha ragione chi invoca l’uscita dall’euro senza se e senza ma, come panacea di tutti i mali».
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LUCA CIFONI PER IL MESSAGGERO – Nel primo pomeriggio di ieri, mentre sul suo nome si discuteva nei concitati incontri di Montecitorio, Giovanni Tria era al suo posto a Tor Vergata, nella facoltà di Economia di cui è preside. Il passaggio dalle aule universitarie alle stanze di Via Venti Settembre non sarà certamente una passeggiata; ma chi lo conosce bene ne evidenzia soprattutto una dote, l’equilibrio, che certo potrebbe riuscire utile nella fase caotica in cui nasce il nuovo governo.
IL CAMBIO NON FLESSIBILE
Naturalmente, visto che Tria è stato pescato per la casella dell’Economia al posto di Paolo Savona, la domanda principale sul suo conto riguarda l’atteggiamento verso l’Europa e la moneta unica. Dai suoi scritti ma anche dalle opinioni dei colleghi il nuovo ministro emerge come un europeista critico ma appunto equilibrato, lontano da idee come quella di un piano segreto per uscire dalla moneta unica. Alla fine del 2016 comunque aveva garbatamente spezzato una lancia in favore di una provocazione formulata proprio da Savona e Giorgio La Malfa: i due sostenevano sul filo del paradosso che dovrebbe essere la Germania a uscire dall’euro. Il professor Tria si diceva d’accordo sul fatto che Berlino con il suo gigantesco surplus commerciale – in assenza della flessibilità del cambio quale meccanismo compensativo – mette in difficoltà gli altri Paesi, dando luogo di fatto ad una «competizione truccata». Una posizione chiara e anche abbastanza forte, che però non ha il tono diplomaticamente imbarazzante di altre affermazioni di Savona, come quella che tende ad equiparare il Trattato di Maastricht al Patto d’acciaio del 1939 tra Italia e Germania. Resta il fatto che il nome di Tria è stato fatto alla Lega da Savona stesso: i due dovrebbero collaborare sul fronte europeo, uno sul versante conti pubblici l’altro su quello della riforma dei Trattati. Negli anni passati il futuro ministro aveva criticato anche lo statuto della Bce, che non permette in via diretta politiche monetarie straordinarie come quelle messe in atto dalla Federal Reserve. E in questa chiave si è pronunciato anche per forme di monetizzazione del debito pubblico: un’opzione chiaramente esclusa dalle regole europee. Alcuni articoli recenti permettono poi di inquadrare il suo pensiero rispetto alle tematiche economiche di stretta attualità, quelle al centro del contratto del governo di cambiamento. Favorevole in linea di principio alla flat tax, ma anche ad eventuali aumenti dell’Iva per finanziarne il minor gettito, su questo ultimo aspetto è apparso del tutto in linea con la posizione di organizzazioni come l’Ocse e la stessa Ue, favorevoli a riequilibrare il sistema fiscale trasferendo gettito da quelle dirette, che gravano sul lavoro, a quelle dirette. Il professor Tria è più prudente sul reddito di cittadinanza, in attesa di vederne una formulazione concreta (alla quale ora si troverà a contribuire): la condizione richiesta è che il nuovo strumento non crei una società «in cui una parte della popolazione produce e l’altra consuma».
SCUOLA DI AMMINISTRAZIONE
Professore di economia politica, tra gli altri incarichi attuali figurano quelli di presidente della Scuola nazionale dell’amministrazione e di rappresentante italiano presso l’Ilo, l’Ufficio internazionale del Lavoro. In passato ha anche collaborato attivamente con Renato Brunetta, economista e deputato di Forza Italia. Nato a Roma nel 1948, si è laureato in Giurisprudenza all’Università la Sapienza nel 1971 e da allora ha svolto attività accademica in molti atenei italiani e stranieri.
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GIANNI TROVATI PER IL SOLE 24 ORE –
Per Giovanni Tria, indicato al ministero dell’Economia nel rinato governo giallo-verde, l’Unione monetaria ha fallito tre volte: nel «processo di eliminazione degli squilibri macroeconomici interni», nel «coordinamento tra politica monetaria e fiscale» e nella «correzione degli squilibri esterni». Il vizio di fondo dell’Eurozona si concentra nel «surplus crescente dell’economia tedesca», che «ci pone in conflitto anche con il resto del mondo». E la via d’uscita è quella di «superare i tabù», con la «monetizzazione di una parte dei deficit pubblici per finanziare, senza debito aggiuntivo, un ampio programma di investimenti pubblici».
La citazione, tratta da un articolo che Tria ha firmato insieme all’ex ministro di Fi Renato Brunetta sul Sole 24 Ore del 9 marzo dell’anno scorso, mostra che la scelta dell’economista romano al posto di Paolo Savona, “spostato” agli Affari europei, non segna un cambio di rotta drastico rispetto all’assetto iniziale del governo M5S-Lega. Ma un ammorbidimento sì, perché secondo Tria cambiare le regole nel confronto con gli altri Paesi «è possibile e conviene», mentre «uscire (dall’euro, ndr) da soli significa pagare solo costi senza benefici». Qualche settimana fa su Formiche.net Tria ha spiegato di «concordare in pieno» con la provocazione lanciata da Savona in un articolo scritto con Giorgio La Malfa sul Corriere della Sera, in cui sosteneva che «la Germania deve lasciare l’euro se non è disposta a modificarlo in modo che possa funzionare non solo nel suo interesse». Ma era una provocazione politica, in risposta alle tesi dell’economista tedesco Clemens Fuest che giudicava «preferibile restare amici ma con monete diverse» con un’Italia ribelle ai vincoli su deficit e debito.
Tria, 69enne preside della facoltà di Economia all’università di Roma Tor Vergata dov’è ordinario di politica economica, esprime da tempo una posizione euro-critica; e da tempo ha rapporti intensi con il Centro-destra, e in particolare con Renato Brunetta, che da ministro della Funzione pubblica nel 2010 l’ha indicato come presidente della Scuola superiore della Pa, ora diventata Scuola nazionale del’amministrazione. E con il Centro-destra ha collaborato anche sul programma elettorale.
Anche l’adesione ai punti forti del programma, ovviamente, ha pesato nell’indirizzare Tria verso Via XX Settembre, a partire dalla condivisione degli obiettivi dichiarati di semplificazione e tagli fiscali pro-crescita alla base della Flat Tax. Ma come finanziarla? Nell’ottica di Tria, che sul punto si discosta dal coro dei partiti contro le clausole Iva, gli aumenti delle aliquote in programma dal 1° gennaio sarebbero l’occasione utile per spostare il carico fiscale dai redditi ai consumi: sul punto lo scacchiere delle “alleanze” si ridisegna, e vede le tesi di Tria vicine a quelle della commissione Ue nelle ultime raccomandazioni fa e riprese dalla relazione annuale di Bankitalia.
E la tassa piatta non sarebbe in contraddizione con il reddito di cittadinanza, che all’atto pratico si dovrebbe tradurre secondo Tria in un’indennità di disoccupazione un po’ rafforzata.