Corriere della Sera, 31 maggio 2018
Fca, il giorno del debito zero e il nuovo piano di Marchionne
È arrivato il giorno del debito zero. Domani Sergio Marchionne dirà se nelle ultime settimane la cassa industriale del gruppo è riuscita a recuperare i 1.300 milioni di euro necessari per tornare, dopo lunghi anni, in zona positiva. Quella era l’inevitabile condizione per fare nascere il nuovo piano industriale del gruppo del Lingotto che sarà svelato a partire dalle 10 di venerdì alla Cascina Bella Luigina di Balocco, vicino a Vercelli.
Il trend degli ultimi trimestri dice che l’obiettivo è raggiungibile. Il 30 giugno 2016 l’indebitamento industriale netto del gruppo era di 5,4 miliardi di euro. Il 30 giugno 2017 era sceso a 4,2 miliardi. Era stato un taglio significativo, 1,2 miliardi di riduzione in dodici mesi, 25 milioni a settimana. Ma è nei sei mesi successivi che la riduzione dell’indebitamento si è messa a correre davvero: il 31 dicembre scorso il net industrial debt era a 2,4 miliardi di euro, si era cioè dimezzato riducendosi di circa 100 milioni a settimana, il quadruplo rispetto ai sei mesi precedenti. Un ritmo impressionante che si è sostanzialmente mantenuto, con una leggera flessione, nel primo trimestre del 2018 quando la riduzione media è stata di 1,1 miliardi, 90 milioni a settimana. Trend che consentirebbero, anche senza eventi straordinari in grado di impattare sui conti, di arrivare a zero alla fine di giugno. Per questo è altamente probabile che domani John Elkann offra a Marchionne quella cravatta blu che il presidente di Fca aveva promesso al suo manager ad aprile, al termine dell’assemblea degli azionisti della società, in caso di raggiungimento del principale obiettivo del piano industriale 2014- 2018. Obiettivo che pareva davvero impossibile quattro anni fa: a fine 2014 il bilancio della società del Lingotto chiudeva con un indebitamento industriale netto di 7,7 miliardi. Se Marchionne manterrà il target 2018, che prevede un attivo di cassa di 4 miliardi, vorrà dire che da inizio piano ha recuperato quasi 12 miliardi di euro.
Il notevole recupero è stato possibile perché nel corso del tempo gli investimenti hanno cominciato a far funzionare quello che Marchionne chiama «il forno», il sistema virtuoso che in tempi di crescita del mercato genera cassa. Ora però, e sarà sostanzialmente questo l’oggetto del capital market day di domani, si tratta di decidere dove reperire le risorse per far crescere ulteriormente il gruppo. E di risorse ci sarà bisogno. Non basterà certo il pur ragguardevole tesoretto di 4 miliardi che l’attuale Ceo lascerà in eredità per sorreggere un piano che punta a far crescere i profitti con la produzione di modelli premium. I rumors riportati ieri dall’agenzia Bloomberg, dicono di una regionalizzazione del brand Fiat che, con l’eccezione della 500X, marchia solo utilitarie e viene prodotto fuori Italia. Il brand sarebbe infatti ritirato dalla Cina e dagli Usa e destinato solo ad Europa e America Latina. Nella comunicazione dei bilanci Alfa Romeo sarebbe accorpata a Maserati, anche se rimarrebbero due società distinte come oggi. Grandi prospettive di sviluppo per Jeep che nel 2022 dovrebbe arrivare a sfiorare i 3 milioni di auto vendute all’anno. Obiettivo possibile perché l’anno potrebbe concludersi non lontano dai 2 milioni di Jeep previste per fine 2018 dal piano precedente. Ipotesi che fanno salire il titolo sopra i 19 euro (più 4 per cento).
Tra le indiscrezioni circolate ieri c’è anche quella dell’intenzione di estendere agli Usa l’attività di Fca Bank, la società di servizi finanziari del gruppo. Ipotesi che è già costata cara a Santander Consumer Usa che fino ad ora ha curato questo genere di attività per Fiat- Chrysler. Il braccio americano di Santander ha perso ieri fino al 9,6 per cento alla borsa di Dallas. Anche FcaBank, peraltro, di trova di fronte a settimane di navigazione incerta dopo che Moody’s l’ha inserita, come gran parte degli istituti bancari italiani, nella lista delle banche da sottoporre a un possibile downgrade a lungo termine in conseguenza del pasticcio politico che i partiti di maggioranza in parlamento stanno combinando nella trattativa per il nuovo governo.