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 2018  maggio 31 Giovedì calendario

«Savona? Non mi somiglia. Io volevo la Grecia nell’euro, la Lega punta a uscirne». Intervista a Vaoufakis

Varoufakis, dove eravamo rimasti?
«Sono sempre stato qui».
Perché si dimise dopo la vittoria del No al referendum greco?
«Perché proprio quella notte, quando gli parlai, Tsipras disse che era pronto a rovesciare il sontuoso 62% di No in un Sì. Rimanere ministro delle Finanze avrebbe significato approvare un paradosso: un governo che rovescia il popolo, e non viceversa».
Sta dicendo che Tsipras già aveva deciso di accettare un piano ancora più duro di quello respinto dai greci?
«Certo. La Trojka non voleva politiche per la Grecia e per l’Europa. Voleva spezzare la primavera greca e umiliare Tsipras per dare un segnale agli irlandesi, ai portoghesi, agli spagnoli, agli italiani, financo ai francesi: ecco cosa vi succede se non obbedite a Berlino e a Francoforte».
Come sono ora i suoi rapporti con Tsipras?
«Inesistenti. Non abbiamo nulla da dirci. Per continuare a fare quel che fa, ha bisogno di raccontarsi una storia. E lui sa che io so che lui sa che è falsa».
Oggi la Grecia è bloccata dallo sciopero generale. Come andranno le prossime elezioni?
«Tsipras e la destra lottano per convincere il popolo che saranno i migliori nel realizzare misure che ognuno è certo siano destinate a fallire. Per uscire dalla grande depressione abbiamo messo in campo un nuovo partito, nel silenzio di piombo dei media ufficiali».
Qual è il suo progetto politico, Varoufakis?
«Trasformare le Europee del maggio 2019 in una campagna transnazionale sia contro il tirare a campare dell’establishment, sia contro le false promesse dei nazionalisti. Per questo il nostro movimento Democrazia in Europa, DiEM25, con altre forze di ogni Paese, presenterà una lista progressista internazionale, #European Spring».
La Primavera europea. La lista Tsipras in Italia prese il 4%. Quanto può valere la lista Varoufakis?
«Non ci sarà una lista Varoufakis. I partiti personali hanno fatto il loro tempo. Io sono soltanto il cofondatore del primo partito transnazionale, per uscire dal falso dilemma tra Trojka ed Exit, pro Europa e anti Europa».
Chi sono i suoi riferimenti in Italia? Cosa pensa di Liberi e uguali, il partito di D’Alema e Vendola? 
«Mettere il vino vecchio in bottiglie nuove non farà rinascere gli spiriti del progressismo. I militanti di DiEM25 Italia hanno tenuto assemblee in ogni regione, abbiamo già 10 mila membri. A Napoli lavoriamo con de Magistris, seguiamo con interesse quel che fa Pizzarotti a Parma. Lo sforzo è guidato da Lorenzo Marsili».
E chi è?
«Un trentenne romano, laureato in Filosofia a Londra, ben noto in Europa, cofondatore di DiEM25».
Ci sarete già alle elezioni anticipate italiane?
«Lo annunceremo il 13 giugno a Milano».
Ci sarete o no?
«Ci saremo».
Le dispiace che – per ora – non sia nato il governo Lega-5 Stelle?
«Mi dispiace che Mattarella avesse accettato come ministro degli Interni un misantropo come Salvini. Mi dispiace che Renzi abbia rinunciato a ottenere da Berlino una politica che rendesse i nostri Paesi compatibili con l’eurozona, lasciando così il campo a Salvini e a Di Maio. E mi dispiace che l’unica preoccupazione di Mattarella fosse bloccare un ministro dell’Economia che aveva espresso ragionevoli preoccupazioni sull’architettura dell’euro».
Savona aveva un piano per uscirci, dall’euro.
«Anche la Bce ha un piano che prevede l’uscita dell’Italia dall’euro, si chiama Plan Z. Anche la Germania ce l’ha. Anche Padoan. È normale avere un piano per la gestione delle crisi. Anche i ministri della Difesa hanno un piano in caso di invasione nemica; questo non significa che auspichino l’invasione. Quand’ero ministro, ho sentito Macron dire le stesse cose di Savona».
Quali cose?
«Che l’euro è insostenibile senza riforme».
Draghi ha detto che l’euro è irreversibile.
«Di irreversibile c’è solo la morte».
Cosa pensa di lui?
«Dovrei avercela con Draghi, visto che soffocò il mio governo. Ma riconosco che a Francoforte ha avuto successo. Dopo la catastrofe Trichet, Mario Draghi è stato il primo vero governatore della Banca centrale europea».
Perché definisce Salvini misantropo? Lo conosce?
«Mai incontrato. Ma come altro definire uno che vuole ingabbiare e deportare mezzo milione di esseri umani? Si rende conto quale disastro sarebbe per l’immagine dell’Italia nel mondo intero?».
Di Maio aveva chiesto l’impeachment per Mattarella.
«Una sciocchezza. Il presidente secondo me ha commesso un errore, ma ha esercitato le sue prerogative. In una crisi istituzionale come quella che vive l’Italia, l’ultima cosa da fare è sfiduciare il capo dello Stato».
Come giudica i 5 Stelle?
«Non sono di sinistra, ma nascono dal fallimento della sinistra. Mescolano idee che gioverebbero alla gente comune con inaccettabili visioni xenofobe».
I due populismi possono stare insieme, in un’ottica sovranista e ostile ai burocrati di Bruxelles e Berlino?
«Considero il populismo una grave minaccia per la democrazia. C’è una profonda differenza tra essere popolare ed essere populista. I populisti usano la rabbia e la paura per prendere il potere e usarlo contro la maggioranza. Se Bruxelles e Berlino saranno sconfitte dai populisti, tutti noi saremo sconfitti. DiEM25 nasce per creare un’alternativa democratica ed europeista sia all’incompetenza autoritaria di Bruxelles e Berlino, sia alla xenofobia autoritaria dei populisti».
La distinzione destra-sinistra ha ancora senso? O la nuova frattura è tra élite e popolo, tra chi sta sopra e chi sta sotto, tra globalisti e sovranisti?
«Finché vivremo sotto il capitalismo, la divisione destra-sinistra sarà sempre pertinente e inevitabile. Ma ci sono momenti nella storia, come gli anni 30 e come questo, in cui la crisi del capitalismo è così profonda, la democrazia è tanto minacciata, da richiedere un programma comune tra liberali antisistema, marxisti, ecologisti e anche moderati. Io sono un uomo di sinistra; ma DiEM25 è più che un movimento di sinistra».
Savona è considerato anti tedesco. Da parte della Germania c’è l’arroganza di voler comandare a casa degli altri, come lasciano credere le parole di Oettinger?
«Il problema con le élite tedesche è che rifiutano di essere egemoniche, e finiscono così per essere autoritarie. Celebrano il proprio surplus e rimproverano agli altri il loro deficit. Non si rendono conto delle conseguenze macroeconomiche sui partner europei. E il nuovo ministro socialdemocratico delle Finanze è ancora più austero e meno creativo di Schäuble».
La «Bild» per spiegare chi è Savona ha scritto che è il nuovo Varoufakis.
«Esagera. Io chiedevo condizioni – compresa la ristrutturazione del debito – per tenere la Grecia nell’euro. Savona è stato indicato da un partito, la Lega, il cui sogno non troppo segreto è uscire dall’euro».
La Merkel è finita? Chi verrà dopo di lei?
«Sì. La Merkel ora è totalmente alla mercé di coloro che nel suo partito stanno già tramando per sostituirla. Ha avuto un potere enorme, e l’ha usato per dividere l’Europa anziché unirla, attraverso un orribile mix tra austerity universale per i molti e socialismo per i banchieri. Purtroppo il successore, chiunque sia, ce la farà rimpiangere».
E Renzi?
«Ha rinunciato a chiedere un cambio di sistema, limitandosi a pretendere di non rispettare le regole vigenti. Così è finito per apparire agli occhi dei tedeschi come un bambino viziato. Diceva: “Finalmente ci siamo liberati di Varoufakis”. Ora gli italiani si sono liberati di lui».
Macron che impressione le fa?
«Nel 2015 mi diede la sua solidarietà. Ma da presidente sta facendo una politica socialmente regressiva. Le sue proposte di riforma dell’Europa sono giuste, ma tiepide; e non sono accompagnate da nessuna seria minaccia a Berlino. Che infatti le ignora».
E Podemos in Spagna, che litiga sulla villa di Pablo Iglesias?
«Il problema non è la villa: per parlare in nome degli indigenti non devi essere per forza indigente. Il problema è che Podemos non ha un piano per l’Europa. Cosa farebbe nell’Eurogruppo? Come affronterebbe i fallimenti bancari? Se non risponde a queste domande, non può vincere le elezioni».
Ora potrebbe toccare a Cottarelli. Che ne pensa?
«Conosco Cottarelli da quando era al Fondo monetario. Ho lavorato con lui nel 2015. Lo stimo. Ma il suo governo, a differenza di quello di Monti, non avrebbe uno straccio di maggioranza. Sarebbe un governo di ripiego. Una guarnigione per tenere la fortezza fino alle nuove elezioni, che rischiano di rafforzare l’ultradestra; con grave danno dei migranti, dei progressisti italiani e di tutti noi che sogniamo di fare dell’Europa il regno della prosperità condivisa».
L’Italia del 2018 rischia di diventare la Grecia del 2015?
«No! L’Italia è troppo grande per poterla minacciare con l’espulsione dall’euro. Se questa minaccia venisse da Berlino, Francoforte o Bruxelles porterebbe al collasso dell’euro. Potrebbero provare gli stessi maneggi del 2015, ad esempio provocando una crisi di liquidità, per mettere pressione su Roma, ma non funzionerebbe neanche questo; poiché una crisi finanziaria è quel che Salvini vuole veramente».