La Stampa, 31 maggio 2018
Il fascino perduto delle sigarette. Non fumano 8 Millennials su 10
«Qui si può fumare?». Il tabagista incallito pronuncia questa domanda di rito, quando è ospite, con sempre più timidezza. Ormai sa bene che la sigaretta non solo fa male, ma è out, un oggetto repellente, escluso da qualsiasi codice delle buone maniere. La giornata mondiale contro il fumo di oggi è idonea per misurare quanto l’atteggiamento degli italiani si sia capovolto rispetto alle sigarette, ieri status symbol di sana trasgressione, pensiero profondo e perfino benessere, oggi icona di un vizio assurdo, non tollerato.
Negli anni Cinquanta il ministro delle Finanze, Ezio Vanoni, diceva: «La prima statistica da guardare per capire la ricchezza degli abitanti in ciascuna regione è il consumo di sigarette». Oggi solo il 14% degli italiani consente a qualcuno di fumare nelle proprie case: era il 43%, il triplo, nel 2003 quando fu introdotta la legge Sirchia che ha vietato le sigarette nei luoghi pubblici e nei posti di lavoro. E appena il 3,8% degli automobilisti è disposto a tollerare la sigaretta in auto di un compagno di viaggio. «È in atto un cambiamento dirompente che colloca i fumatori in un girone infernale di esclusi, di persone sgradite. E per loro sarà sempre peggio» commenta Roberta Pacifici, direttore dell’Osservatorio Alcol, fumo e droga dell’Istituto superiore della Sanità: «Prima o poi arriverà anche in Italia una legge che vieta il fumo nei parchi e negli spazi verdi. L’aria aperta non elimina alcune controindicazioni, una sigaretta accesa a Villa Borghese è fonte di inquinamento e un gesto che spinge all’abitudine di fumare».Nove italiani su dieci vogliono che le norme antifumo siano rispettate. E gli oltre 11 milioni di fumatori (la media nazionale è di 13 sigarette al giorno) avranno vita sempre più dura, non solo per i divieti ma proprio per l’ostilità crescente che dovranno affrontare. Un cambio di paradigma che hanno capito bene le multinazionali del tabacco, ormai impegnate a ridurre i danni per i loro fatturati con i prodotti di nuova generazione, sigarette che, almeno sulla carta, dovrebbero fare meno male alla salute. Mentre il boom della sigaretta elettronica appare evaporato, anche perché è dimostrato che il 70 per cento di questi consumatori sono duali, ovvero aspirano anche sigarette normali, avanzano i prodotti di nuova generazione. La Philip Morris, che controlla il 52% del mercato italiano, ha un obiettivo preciso: spostare in pochi anni i suoi clienti dai pacchetti tradizionali agli stick di sigarette con tabacco riscaldato, senza combustione. Un’operazione che però deve fare i conti con un esame scientifico, previsto da un decreto dell’agosto del 2017, da parte dell’Iss. Una valutazione che dica con chiarezza se e come i rischi delle nuove sigarette siano davvero molto ridotti rispetto a quelle tradizionali. La Philip Morris ha preso tempo e soltanto qualche settimana fa, come ha scoperto La Stampa, ha presentato le sue carte. Ora i tecnici dell’Iss hanno 180 giorni per emettere il verdetto. «Sono scettica sull’efficacia per la salute dei fumatori dei nuovi prodotti. Il vero deterrente sarebbe quello di raddoppiare il prezzo delle sigarette troppo basso in Italia» dice Pacifici. Secondo gli esperti dell’Osservatorio le prossime campagne contro il fumo dovrebbero puntare a scoraggiare ancor di più la fascia di giovani tra i 15 e i 24 anni. Anche se ai Millennials le sigarette piacciono molto meno dei loro genitori e nonni. In questa fascia d’età i fumatori sono solo il 16%. Nel mirino ci sono le fiction Made in Italy, dove, attraverso la pubblicità occulta, la sigaretta come status symbol uscita dalla porta principale rischia di rientrare dalla finestra. Il fumo, anche se out, resta la prima causa di morte in Italia con circa 80mila morti l’anno.