La Stampa, 31 maggio 2018
Un’idea insana di destra
Ogni volta che si legge di Matteo Salvini come uno di destra, perché digrignante dice «prima gli italiani», ci si chiede a quale destra ci si riferisca. Anche perché non si è mai capito bene che cosa fosse la destra, dal secondo dopoguerra in poi, quando tutto ciò che risiedeva a destra del Partito comunista, compreso Bettino Craxi, veniva dichiarato tale e in un’accezione mai benevola. Ma, insomma, da quale destra discende Matteo Salvini? Per esempio dalla destra di Leo Longanesi che credeva il nazionalismo l’unica e misera consolazione dei popoli poveri? O forse dalla destra di Indro Montanelli che vedeva la massima antitalianità nel politico furbino, rissoso, che persegue l’interesse particolare e se ne infischia dell’interesse collettivo, e chiama i suoi elettori «gli italiani»? O magari dalla destra di Giuseppe Prezzolini che dubitava molto dell’Europa ma sessant’anni fa dichiarò morta l’Italia, fallita nell’idea di nazione, e capace di avere un ruolo soltanto come cuore culturale europeo? Di quale destra stiamo parlando? La destra di Enzo Bettiza che in Esilio scrisse di aver individuato sin da bambino l’olezzo della protervia e della violenza in ogni rivendicazione nazionalistica? La destra di Ignazio Silone (che certo di destra non era, ma così fu battezzato per il fiero anticomunismo di un certo punto in poi) che predicava un nazionalismo conciliatore, umanitario e cosmopolita e detestava quello «sciovinista, xenofobo, esaltatore del sacro egoismo»? C’è una sola destra alla quale vagamente rassomigli Salvini, ed è una destra che non piace neanche a destra.