la Repubblica, 31 maggio 2018
Tutti gli uomini (e i segreti) del Presidente
Quel che più colpisce dei libroni di storia è che tutto vi è già scritto, per cui anche la Grande Crisi italiana era già dentro quelle pagine, ben visibile e persino prevedibile, riconosciuta, esaminata, annunciata... E adesso che ce l’abbiamo sotto gli occhi, epicentro al Quirinale, mancano quasi le parole e sembra che non resti spazio che per qualche sintomatica e beffarda considerazione sulla coincidenza fra il tempo dei bilanci, il caos di queste giornate e un’iniziativa editoriale di lungo respiro.
Tutto questo per dire che giusto ieri un gruppo di storici e studiosi delle istituzioni sono saliti sul Colle più alto (che poi non lo è, sia pure per qualche centimetro) per consegnare a Sergio Mattarella l’opera più vasta e completa su I presidenti della Repubblica (il Mulino), di Giuseppe Galasso, Sabino Cassese e Alberto Melloni, due volumi per un totale di 1296 pagine scritte da una trentina di professori; le biografie dei 13 Capi dello Stato (anche De Gasperi, sia pure per pochi giorni), più decine di monografie in tema (storia delle varie elezioni presidenziali, rapporti del Capo dello Stato con i partiti, con la politica estera, con i Papi, la magistratura, le forze armate, i poteri di nomina, oltre all’immagine presidenziale sui quotidiani e la tv, il linguaggio, la satira, il Palazzo).
Ci sono ovviamente migliaia di note bibliografiche, gli articoli della stampa quotidiana sono generalmente e finalmente accettati come fonti storiche, ma ci si può imbattere anche in Striscia la notizia, ma purtroppo non ancora in Dagospia. Il potere infatti cambia. Fra la prima e la seconda parte, un’appendice d’immagini con alcune – non troppe – perle fotografiche.
Restano impressi: un bell’Einaudi con Bartali, il primo colore per Saragat, Leone sovrastato dalla regina di Danimarca in lillà, ma anche riprodotto in alcuni disegni onirici di Fellini, il consueto Pertini di Andrea Pazienza.
Studio critico interdisciplinare sulla prima carica della Repubblica, storia ed enciclopedia del Quirinale: quel che si dice l’opera che mancava, sul serio, e che colma il ritardo.Alcuni saggi, come normale in questi casi, si leggono meglio di altri: svogliatelli e/o troppo paludati; oppure fin troppo funambolici nelle interpretazioni o arrotondati nelle conclusioni; altri invece più netti, asciutti, scorrevoli e appassionati. Ancora: alcuni accademicamente sussiegosi («ora vi faccio Io la Storia»), altri da far utilmente leggere nei licei, nei corsi per magistrati e nelle scuole di giornalismo.
La materia del resto è complessa, e gli snodi, specie là dove il carattere e lo stile dei settennati s’intrecciano con la politica, a dir poco intricati. Basti pensare all’incredibile e per tanti versi profetica metamorfosi di Cossiga, da timido gentiluomo a “caso clinico” passando per i sassolini e le picconate.
Ma tutti i presidenti, in fondo, restano personaggi degni di essere esaminati in chiaroscuro, vedi le continue bizze di De Nicola o lo stesso correttissimo Einaudi che per protesta si allungava le vacanze pasquali. Più che impiccione, il vanitoso Gronchi voleva addirittura partecipare al Consiglio dei ministri. E Segni, “malato di ferro”, scriveva di nascosto lettere a Kennedy, anche se si resta delusi sul modo in cui viene liquidato il malore che lo mise fuori combattimento.
Ora, si comprendono senz’altro le obiezioni, ma in questo tempo così personalizzato e privo di riferimenti ideologici, gli aspetti più umani avrebbero forse meritato una maggiore, meno timida e magari anche sperimentale considerazione. In ogni caso si trova pur sempre traccia del rapporto, definito “poco empatico”, tra Pertini e Craxi (purtroppo manca la lettera «a brigante, brigante e mezzo»); ed è comunque menzionata la depressione che colpiva Cossiga; così come si scopre che Saragat si convertì poco prima della morte, come assicurato da padre Rotondi.
Ma l’opera è troppo vasta, e organica, e importante per meritarsi notazioni da giornalisti pierini o patiti del gossip politicante. I quali sono grati di aver appreso che intorno al 1948 le porte del Palazzo si aprirono alla troupe che stava girando – guarda guarda – un Cagliostro con Orson Welles ( also starring, nei giardini, il cavallo bianco di Mussolini, di nome “Transatlantico”).
Felice è la suddivisione delle pagine su due colonne, mentre un indice delle testate, dei luoghi e delle cose notevoli non avrebbe guastato un lavoro che a ragione punta a imporsi come un classico.
Su un piano più costituzionalmente elevato, e con l’occhio all’oggi: esorbitarono i presidenti della Repubblica rispetto alle loro funzioni? Altroché. Se si allarga il tavolo della storia a uno sguardo complessivo, l’impressione è che abbiano sempre provato a imporre la loro volontà, e spesso ci sono riusciti.
Compaiono qui e là le vicende più che lontane fra loro, dal trattato su Trieste a Ruby, dai missili di Cuba all’influenza interna della massoneria (Andreotti scrisse a Leone: caccia via il Segretario generale Picella). Ma le rivelazioni sono assai contenute, nulla che possa cambiare il giudizio su vicende di rilievo su cui al Quirinale si sarebbero dovuti accumulare parecchi documenti – a parte la “triste eccezione” di Scalfaro che ha girato tutte le carte ai reverendi padri gesuiti della Civiltà Cattolica, il che significa bye bye, le conosceranno forse i nipotini dei più giovani professori dedicatisi all’opera.Al contrario i diari, sembra in parte inediti, di Ciampi offrono squarci formidabili, quasi teatrali, su un paio di incontri e scontri con Berlusconi. Ma nel complesso l’archivio storico del Quirinale, che per se stesso resta un po’ misterioso, non sembra aver fornito granché. Forse dipende dal fatto che il vero potere è tendenzialmente muto, distante, opaco nei suoi imperscrutabili arcani – e magari è anche meglio così. Napolitano oltretutto è troppo recente, e Mattarella ci sta troppo dentro.
In ogni caso si legge e si legge, ma sotto la spinta della più incandescente attualità è come se tutto – il consenso, la popolarità, lo specchio, il potere neutro o “a fisarmonica”, il presidio, il notaio, il grande armonizzatore – si disperdesse in un’altra dimensione. Errore: in caso di crisi profonda del sistema, ha scritto Leopoldo Elia, tutti i poteri di indirizzo e di decisione si concentrano comunque nel Quirinale. Eccoci, dunque.
Nella letteratura la figura del presidente richiama significativamente quella del prigioniero. Ma ora che la grande malattia italiana appare più che conclamata, adesso che la paura mangia l’anima delle istituzioni, verrebbe piuttosto da pensare al Capo dello Stato come a un medico. Inutile piangere sul latte versato della mancata prevenzione. La società terapeutica invoca optalidon, aspirina, contravveleno, antibiotici, ansiolitici, insomma una cura. Consenso informato, s’intende, meglio senza ricorrere alla chirurgia.