La Stampa, 30 maggio 2018
Così il grande malato rischia di scatenare un’epidemia globale
L’Italia ha spinto l’Europa sull’orlo di una nuova crisi finanziaria. A dirlo sono i mercati, investitori come George Soros e, più sottovoce, Bruxelles e Francoforte.
Tra i banchieri e gli operatori, ieri si respirava un’aria di déjà-vu: si parlava di paure, incertezze e scenari che ricordavano soprattutto la crisi del debito del 2012, con l’Italia nel ruolo della Grecia, ma anche la Grande Recessione del 2008-2009, in cui una miccia accesa in un Paese (gli Usa) portò ad una conflagrazione globale. «Le crisi serie incominciano sempre così, con un piccolo terremoto in un angolo dei mercati che destabilizza tutto il resto» L’analisi è di un banchiere americano che visse il caos del 2008 sulla propria pelle e pensava di aver chiuso quel capitolo. Ma il pasticciaccio brutto di via del Quirinale ha riaperto sia il capitolo-crisi sia vecchie ferite nel cuore dell’Europa. I segnali esterni sono tristemente noti: spread in salita verticale, Borse mondiali in caduta libera e minacce di una disintegrazione della zona euro. Il confronto con il 2012Anche il casus belli è simile al 2012: un Paese dilaniato da divisioni politiche e sociali che non riesce a formare un governo e che fa la voce grossa contro l’Unione europea. All’epoca, la piccola stazza della Grecia fece sì che non ci fu contaminazione. «Ma l’Italia è diversa», mi ha detto un veterano della crisi greca. «È una delle economie più grandi del Pianeta con un debito enorme e una potenza politica di gran rilievo». In un altro contesto, sarebbero quasi-complimenti. Ma in questo momento, commenti del genere ribadiscono la fragilità del nostro Paese nel gioco di Shangai della zona euro. Sono timori che si sentono anche nel grattacielo della Banca centrale europea a Francoforte.Il ruolo della BceLa Bce è preoccupata perché stava già pensando a ritirare lo stimolo da cavallo che ha somministrato alla zona euro negli ultimi anni. Il caos di Roma potrebbe costringere Mario Draghi a tenere aperto il rubinetto della liquidità, aumentando il rischio d’inflazione e esacerbando le tensioni con la Germania. Il lamento di ViscoPer intravedere il malumore di Francoforte basta ascoltare il lamento di Ignazio Visco. Il governatore di Bankitalia ieri ha parlato del «rischio gravissimo di disperare in poco tempo e con poche mosse il bene insostituibile della fiducia» dei mercati. È un bene che si sta svalutando rapidamente. Lo spread tra Btp e bund tedeschi ha sfondato quota 300, toccando i massimi dalla primavera del 2013. La Borsa di Milano ha chiuso in netto ribasso, spinta giù dalle banche, che di Btp sono piene zeppe. Uno dei luogotenenti di Draghi, il vicepresidente della Bce Vitor Constancio, ha addirittura dovuto dare un’intervista a Der Spiegel per rassicurare il pubblico tedesco che la Bce non interverrà per evitare l’insolvenza dell’Italia. È una domanda che non si pone perché l’Italia i soldi ce li ha, ma sottolinea la gravità della situazione. Bruxelles è furente. «Questa ci voleva come una pallottola nella testa», è stato il commento a caldo di un diplomatico europeo. Tra la Brexit, il problema-nazionalismo di Polonia, Ungheria e Austria e le beghe della Commissione di Jean-Claude Juncker, la gestione dell’economia era una delle poche note positive nel panorama-Ue. L’Italia ha ribaltato tutto, creando nuove tensioni separatiste e ricordando ad altri leader populisti che attaccare Bruxelles è tattica elettorale molto proficua. Il rischio contagioIl vero test per investitori, politici e regolatori nei prossimi giorni sarà vedere se Roma contagia il resto del continente. Per il momento, Il balzo nello spread dei titoli di Stato è rimasto più o meno isolato ai Btp – cosa senz’altro positiva. Ma le Borse spagnole e portoghesi, gli altri due anelli deboli nella catena dell’euro, sono calate, mentre l’euro è ai livelli più bassi nei confronti del dollaro dal luglio del 2017. I mercati americani, che fino alla settimana scorsa avevano ignorato l’Italia, hanno sofferto ma non in maniera drammatica. Il malessere italiano non è ancora diventato un’epidemia mondiale ma siamo appena agli inizi. Il vecchio adagio diceva che «quando l’America starnutisce, il mondo prende il raffreddore». Il grande malato adesso è l’Italia.