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 2018  maggio 30 Mercoledì calendario

Prandelli: «Bravo Balotelli, ora mostri la sua crescita, Vorrei ripartire anch’io»


Prandelli, è partita la nuova Italia di Mancini: quale giudizio ne dà?
«Era un’amichevole, ma ho visto un ottimo primo tempo».
Targato di nuovo Balotelli, il centravanti fatale al suo progetto da ct: la rivoluzione tattica del centrocampo rotante.
«Del valore di Mario calciatore sappiamo tutto. Siamo qui, dopo quattro anni, a fare i soliti discorsi. Dal punto di vista del calciatore, è uno dei più forti al mondo. Poi tocca a lui dimostrare il resto».
Come?
«Con la ripetitività delle prestazioni in campo. Lui ha detto di essere migliorato e maturato. Ora ha l’occasione di dimostrarlo».
Anche lo striscione razzista comparso a San Gallo fa parte delle consuetudini.
«Non lo commenterei più di tanto, perché si commenta da solo».
Lei, nel 2013, disse: al primo coro razzista entreremo in campo ad abbracciare Mario.
«Confermo. Ma mi sono stancato di commentare gli stupidi».Il calcio italiano, in questo, pare inguaribile. Sotto gli altri aspetti, però, le manca?
«Sì. Se mi arriverà una proposta seria, la accetterò molto volentieri. Gli anni all’estero mi hanno un po’ deluso. Al Galatasaray ero secondo, al Valencia mi hanno fatto promesse non mantenute, a Dubai la squadra, arrivata a 30 punti dalla prima senza di me, si ritrovava a 8. Sto valutando seriamente di tornare in A. Se qualcuno mi vuole, sono pronto».
Tutto cominciò a Natal con l’Uruguay: come se la Nazionale si fosse portata dietro un sortilegio.
«Siamo arrivati al Mondiale da vicecampioni d’Europa e dopo una buona Confederations Cup. Abbiamo vinto con l’Inghilterra, poi sbagliato partita con la Costa Rica, che non era affatto scarsa. Della sconfitta con l’Uruguay c’è poco da dire: era una partita da 0-0».
Invece?
«Un calcio d’angolo che non c’era, l’espulsione di Marchisio, e ci siamo ritrovati fuori. Ma non ha senso rivangare. Oggi il mio sentimento è che sono incazzato dentro».
Il diavolo, la serie A, non è così brutto come lo si dipinge?
«Se guardiamo con oggettività quel che è successo agli allenatori italiani all’estero, anche ai più vincenti, al 90% di noi è capitato di chiudere l’esperienza con un esonero. Forse perché siamo troppo intransigenti. Fatto sta che, se voglio giocarmi le mie carte, voglio farlo a casa mia, nella mia lingua».
Perché è così importante?
«Perché, se vuoi entrare nella testa dei giocatori, devi conoscere la lingua perfettamente».
Ma il calcio italiano è in involuzione di risultati.
«Non è un’involuzione, secondo me. La Juventus è sempre attaccata alle migliori e la Roma è arrivata in semifinale di Champions. Si sta recuperando terreno».
Che cosa manca?
«Solo un po’ di fisicità e di intensità. E il fatto che i nostri ragazzi vadano ancora poco a fare esperienza all’estero. Fino ai 18 anni sono decisamente competitivi, poi arrivano gli stranieri e loro scivolano indietro. Dovrebbero fare come Cristante, che si è messo in discussione in Portogallo».
Per la Nazionale ci sono margini per recuperare in fretta?
«Non è andata al Mondiale, in sostanza, perché nelle due partite con la Svezia ha preso un palo e non è riuscita a fare gol. La squadra non è il problema principale».
Qual è il problema?
«Che noi italiani diventiamo tutti tifosi della Nazionale quando gioca un Mondiale o un Europeo. Amarla davvero significa ricordarsi che esiste sempre. Mancini ha questa difficoltà, la stessa che abbiamo dovuto affrontare noi ct che lo abbiamo preceduto. Poi c’è il fatto che molti giocatori hanno poca esperienza internazionale».
Il Pellegrini visto con l’Arabia promette bene.
«Sì, è un centrocampista moderno, per ora con poche partite internazionali. Vero che i grandi giocatori si vedono già a 20 anni e in questo momento in Italia ce ne sono pochi, forse Chiesa e Bernardeschi».
Al Mondiale, da spettatore, si aspetta novità tattiche?
«A noi allenatori piacerebbero, ma sarà difficile: in un mese di torneo non si può fare molto, anche se la Germania un po’ ci è riuscita. Nei club è diverso: Manchester City e Liverpool sono innovative, spaccano la squadra in due, con poco possesso palla e 5 giocatori che ripartono sempre con l’azione».
In Italia la novità sono le seconde squadre.
«Utili, non c’è dubbio. Ma ricordiamoci una cosa: la Nazionale non va al Mondiale, però quando la federazione viene commissariata vuol dire che c’è chi ha fatto peggio della squadra. In due mesi non è stato possibile avere un presidente. È il sistema che va rivisto».
Come?
«La sola svolta possibile è mettere il calcio al centro».
Del suo periodo da ct rimangono anche 3 ricordi memorabili, oltre all’Europeo: la Nazionale nel carcere di Sollicciano, a Rizziconi sul terreno confiscato alla ‘ndrangheta e ad Auschwitz, con Cassano e Balotelli in lacrime.
«Temo che sia stato dimenticato tutto. Lo avevamo fatto con convinzione, perché ci credevamo. Io continuo a crederci: la Nazionale deve avvicinarsi alla gente».