la Repubblica, 30 maggio 2018
Nel paradiso dimenticato del Borneo dove i cuccioli di orango sono un trofeo
BALIKPAPAN, BORNEO Si ergono solitari, i pochi giganti sopravvissuti alle fiamme e alle motoseghe. Ma di questi alberi ciclopici che sovrastano ogni cosa, nelle tre ore di macchina che separano Balikpapan da Samarinda, nel Borneo orientale, ne conto appena una dozzina. Sono l’ultima testimonianza di quella che fino a pochi anni fa era una delle foreste più impenetrabili del pianeta, ma recentemente divorata da feroci disboscamenti e da incendi appiccati per fare spazio alle concessioni minerarie e alle piantagioni di palma da olio.
«All’inizio del secolo la foresta primigenia ricopriva il 96% della superficie dell’isola, ma gli ultimi rilevamenti indicano che ne rimane, sì e no, il 45%, di cui solo il 18% è protetto da ulteriori devastazioni», dice Sunandar Trigunajasa, direttore della locale agenzia per la conservazione della fauna e della flora. «Soltanto nel 2016, il fuoco ne ha distrutti 2,5 milioni di ettari, già sostituiti da sconfinate monoculture».
Solo un paio di volte riesco a scorgere un piccolo scampolo di giungla equatoriale, ma sempre assediato da piantagioni di ogni tipo di frutta esotica destinata all’esportazione o da hevea per il caucciù e da alberi per la carta. E di continuo incrocio camion carichi delle pesanti pigne che portano i datteri da cui si estrae l’olio di palma. «È la maledizione di tutta l’Indonesia, che è diventata il Paese con la più grande superficie al mondo delle piantagioni di palma da olio, con un totale di 17,5 milioni di ettari, di cui 10 milioni solo nel Borneo. A questo, bisogna aggiungere l’enorme impatto ambientale, nel cuore della nostra foresta, dell’intensivo sfruttamento delle miniere di carbone e di diamanti», aggiunge Trigunajasa, che ha appena aperto un call center dove poter segnalare gli innumerevoli sfregi inferti all’ambiente naturale.
Tra questi spicca il florido commercio illegale di cuccioli di orango. Già, perché uno degli effetti perversi della deforestazione e quindi dell’accesso ai luoghi più remoti della giungla grazie alle nuove strade che oggi la percorrono, è l’aumento del bracconaggio.
Come se non bastasse, allevare un piccolo orango in casa va oggi di moda nella quarta isola più grande del pianeta. «Grazie a una rete d’informatori riusciamo a volte a recuperare i piccoli per poi riabituarli a vivere bradi, il che è un lavoro lungo e dall’esito incerto», spiega Rafna Sitompul, direttrice di un centro di recupero per questi primati finanziato da Giacarta. «Negli ultimi cinque anni sono stati prelevati da questa giungla un migliaio di oranghi, molti di più rispetto ai 48 scimpanzé bonono e ai 98 gorilla catturati in quelle africane».Fatto sta che l’Unione internazionale per la conservazione della Natura ha appena classificato l’orango nella categoria “drammaticamente a rischio”, l’ultimo stadio delle specie in via di estinzione.
Assieme a questi primati è ovviamente minacciato tutto il loro straordinario ecosistema, dove in un ettaro di foresta convivono duecento specie di alberi, e dove assieme al leopardo nebuloso c’è anche la scimmia nasica, che per via della sua grossa appendice nasale pendula, in spregio agli antichi colonizzatori, gli indonesiani hanno ribattezzato monyet belanda, ossia scimmia olandese. Questa giungla fiabesca ospita anche un rarissimo elefante, il più piccolo rinoceronte del pianeta, che è ormai quasi estinto, un timido delfino d’acqua dolce anche lui fortemente minacciato e la rafflesia, che con 1 metro di diametro e 10 chili di peso è il fiore più grande che esista.
«La catastrofe ha radici antiche poiché ha inizio sotto il regime riformista di Suharto che negli anni Ottanta cominciò a cedere alle grosse aziende ma anche agli amici del presidente interi blocchi di giungla per riconvertirli», dice Sitompul. C’è poi un altro motivo che spiega questo enorme biocidio. È la forte pressione demografica che soffoca la giungla del Borneo, anch’essa risalente a Suharto e alla sua sventurata politica della trasmigrasi: per unificare un Paese etnicamente diviso, il presidente incoraggiò una migrazione interna dall’affollatissima isola di Giava (che conta oggi 140 milioni di abitanti dei 255 milioni che fanno dell’Indonesia il quarto Paese più popoloso del pianeta) verso altre isole dell’arcipelago.Prima tra tutte, il vicinissimo Borneo.